Lavori al Nord e risiedi al Sud? Altri tre mesi di cassintegrazione

Bufera in Lombardia per il decreto che "regala" 90 giorni in più di ammortizzatori a chi viene dalle regioni meridionali. E nella scuola è caos per le cattedre occupate dai fuori sede

Lavori al Nord e risiedi al Sud? Altri tre mesi di cassintegrazione

Milano - Peggio di fomentare la guerra tra poveri (soprattutto in tempo di crisi), c'è solo fomentare la guerra tra poveri seminando in aggiunta discriminazione e quindi inevitabile zizzania tra gente del Nord e gente del Sud. Un'impresa riuscita al governo se è vero che essere «meridionali» vale tre mesi in più di mobilità in deroga, oppure un posto in cima alle graduatorie per diventare insegnante di ruolo. Non al Sud, ma nel ben più accogliente Nord e scalzando gli insegnanti locali fino a quel momento pronti a salire in cattedra. Attoniti di fronte all'assalto dato da campani e siciliani con il trasferimento chiesto in extremis nelle graduatorie dei precari nelle regioni della «Padania». Non trastulli sociologici, ma mesi di stipendio per chi oggi non solo non arriva a fine mese, ma con questa disoccupazione record il mese non ha nemmeno modo di cominciarlo.

C'è subbuglio, in Lombardia, dopo il decreto dei ministeri del Lavoro e dell'Economia per i «nuovi criteri per l'erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga». Parla di cassa integrazione e di mobilità e stabilisce che per «i lavoratori che hanno già utilizzato la mobilità in deroga per periodi pari o superiori a 3 anni, il periodo massimo concedibile sarà di 5 mesi, che diventano 8 mesi nelle aree del Mezzogiorno». Non solo. «Per i lavoratori che hanno utilizzato la mobilità in deroga per periodi inferiori ai 3 anni» i mesi saranno 7, ma «diventano 10 nelle aree del Mezzogiorno». Tre mesi in più se sei meridionale. Un beneficio che ha mandato in bestia tanti. Perché non solo chi lavora al Sud è ancora una volta privilegiato (e assistito), ma lo è anche se lavorando al Nord con tanto di domicilio, ha mantenuto la sua originaria residenza. Molti, in Lombardia, i casi di operai della stessa fabbrica con diverso trattamento: 7 mesi agli uni, 10 agli altri.

E non si fermano anche le polemiche per l'assalto sudista alle graduatorie della scuola. Perché su 33.380 immissioni in ruolo (28.781 docenti e 4.599 non docenti) in gran parte nelle regioni settentrionali, ben poche andranno agli insegnanti lì residenti. Perché, a differenza del passato, è stato possibile cambiare graduatoria e le 29mila cattedre andranno metà ai vincitori di concorso e metà alle graduatorie provinciali a esaurimento. Tolto dall'allora ministro Carrozza il vincolo dei 5 anni nella provincia di prima nomina in ruolo, ora ridotto a tre, internet ha fatto il resto con siti per capire su quale provincia puntare. A Torino la maestra elementare che era prima è finita al numero 69, superata da sessantotto colleghi in arrivo da altra regione. E delle 129 cattedre su cui puntavano i precari storici, 108 saranno assegnate a nuovi arrivati. Metà sono siciliani. A Milano nella scuola primaria tutti i posti fino al 237 sono occupati da insegnanti che arrivano da fuori. In provincia di Lucca, dieci degli undici immessi in ruolo saranno siciliani, calabresi e campani. A Bergamo tutti i 5 posti vanno a maestri del Sud. Difficile stupirsi se il segretario della Lega Matteo Salvini chiede «concorsi pubblici regionali». A Pavia una maestra precaria da 17 anni era finalmente ventesima e a un passo dalla cattedra, ora è trentanovesima.

Una cinquantenne ha perso trenta posizioni e si è rassegnata ad andare in pensione da precaria. A Torino assegnate agli insegnanti del Sud l'84 per cento delle cattedre, nella scuola primaria di Milano il 98. Tante piccole storie, ma di grande ingiustizia.

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