"Il leader Pd si prepara alla débâcle. La prova è stata l'appello al voto utile"

Il politologo: "Occhi di tigre? Letta è un democristiano ed è inadatto ai tempi di populismo imperante. E l'allarme fascismo è ridicolo"

"Il leader Pd si prepara alla débâcle. La prova è stata l'appello al voto utile"

«Rovesceremo pronostici e sondaggi, grazie a voi, e dimostreremo che questo Paese non torna indietro». Enrico Letta ci ripensa e mostra un sussulto d'orgoglio e per l'ennesima volta, cambia registro comunicativo, ma il centrosinistra appare sempre più in evidente affanno. I sondaggi indicano unanimemente la vittoria del centrodestra con 15-20 punti percentuali di scarto. Il politologo Marco Tarchi, professore di Scienza politica all'università di Firenze mette in luce tutte le attuali difficoltà del centrosinistra italiano e di Letta.

Come giudica la campagna elettorale di Letta?

«Fiacca e poco convinta fin dall'inizio. Come c'era da attendersi, conoscendo temperamento e stile dell'uomo, poco portato alle battaglie campali e troppo distante dalla mentalità della gente comune. In epoca di diffuso favore per lo stile populista, era inadatto alle circostanze».

Letta, in questi giorni, ha chiesto il voto utile per il Pd perché teme che il centrodestra ottenga i 2/3 del Parlamento. Lei la giudica come una dichiarazione di resa?

«Non c'è dubbio. Del resto, ancora prima che si aprisse la campagna elettorale, negli ambienti accademici circolava una petizione affinché gli intellettuali progressisti firmassero un documento che evitasse quell'eventualità, giudicata un rischio per la nostra democrazia. Un chiaro segnale che la larga sconfitta era già data per scontata».

Letta, che incita sé stesso e i candidati del centrosinistra ad affrontare la campagna elettorale con gli occhi della tigre di Rocky Balboa, è quindi poco credibile?

«I codici dell'attuale comunicazione politica impongono di trovare qualche immagine o slogan che faccia colpo. Ma occorre che chi interpreta il copione sia adatto alla parte. In questo caso, non mi sembra che un'espressione così aggressiva fosse la più adatta a chi, come Letta, si porta geneticamente addosso lo stile democristiano, che ha sempre preferito aggirare gli ostacoli piuttosto che abbatterli».

È fallito anche il tentativo di dipingere la Meloni come una pericolosa fascista? E se sì, perché?

«Perché l'idea che nel 2022, ad un secolo dalla Marcia su Roma, un leader di partito possa proporsi di restaurare un regime autoritario è talmente assurda da risultare ridicola per la maggior parte degli elettori e poco credibile anche per molti di coloro che all'inizio pensavano che fosse una carta spendibile».

La leadership di Letta verrà messa in discussione anche se il Pd risultasse il primo partito?

«Non credo, anche perché non è facile capire chi potrebbe prenderne il posto e fare meglio di lui. Ma se finisse al secondo posto, magari con vari punti di distacco, i malumori crescerebbero e le cose si complicherebbero».

Crede che il campo largo tornerà di moda dopo il voto?

«Dipende dal risultato che otterranno Calenda e Renzi.

Se la loro alleanza riuscisse a superare Forza Italia, dimostrando una buona capacità di attrazione dell'elettorato moderato, al Pd non converrebbe guardare a sinistra, ma tentare di recuperare con tutti i rischi del caso, date le personalità e le ambizioni dei soggetti citati un rapporto positivo con il terzo polo, per erodere nel corso della legislatura la componente centrista del probabile governo Meloni. E al M5s non gioverebbe rinunciare ad una propria collocazione autonoma».

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