Non ha pace l'Ecuador che il 20 agosto andrà al voto per scegliere il successore del presidente Guillermo Lasso. Dopo l'uccisione del candidato Fernando Villavicencio, ieri l'ex sindaco di Quito Jorge Junda ha denunciato il sequestro lampo della figlia - «figli di puttana, qualunque cosa sia con me, non con la mia famiglia» - mentre la vedova di Fernando, Verónica Sarauz, dopo averlo seppellito ha ribadito le minacce che il marito aveva ricevuto da Rafael Correa di recente. «Sei un mascalzone codardo. La tua testa cadrà presto», aveva infatti scritto sui social network nel novembre 2022 l'ex presidente latitante in Belgio per una condanna passata in giudicato a otto anni di carcere per corruzione.
L'esplosione della violenza in Ecuador è dovuta a due fattori. Il primo è l'effetto «collaterale» degli accordi di pace in Colombia del 2016, come denunciato dalla stessa Sarauz, che hanno lasciato senza lavoro migliaia di criminali. Uomini con una vasta esperienza nel traffico di cocaina principale attività economica delle Farc «dissidenti», dell'Eln e dei paramilitari sono rimasti disoccupati e hanno iniziato a prestare servizi fuori dalla Colombia. Colombiani erano due anni fa i killer del presidente di Haiti Jovenel Moïse al pari dei sicari che mercoledì scorso hanno ammazzato Villavicencio. Prima della pace colombiana l'Ecuador aveva un tasso di 5 omicidi ogni 100mila, ora Quito ne registra 26, dato che quest'anno rischia di raddoppiare. Il secondo fattore chiave è che ormai a farla da padrone in America Latina sono i due principali cartelli messicani, quello di Sinaloa e quello Jalisco Nueva Generación (CJNG), in guerra tra loro su scala globale. Entrambi operano senza intermediari nel principale produttore al mondo di cocaina, la Colombia, usata per assumere i sicari disoccupati della pace al fine di regolare i loro conti negli altri Paesi della regione, sia di produzione che di esportazione. L'Ecuador rientra in questa seconda categoria, essendo diventato dal 2021 il paese da cui «si esporta» più cocaina al mondo (dati UNDOC) grazie alle alleanze del cartello di Sinaloa la gang de «Los Choneros», che dispone di almeno 15mila uomini armati. Ieri proprio Los Chonerso hanno diffuso un video per minacciare direttamente il presidente uscente Lasso, «colpevole» di avere trasferito in un carcere dove i detenuti hanno stanze singole il loro leader, alias Fito, che aveva minacciato un mese fa di uccidere Villavicencio. «Se non lo riporti dov'era moriranno migliaia di persone» l'ultimatum della gang che lavora per Sinaloa. Poi, in un secondo messaggio, un uomo incappucciato circondato da uomini armati de Los Choneros ha accusato Lasso «dell'omicidio di Villavicencio, non è un segreto per nessuno». La guerra per procura scatenata dai due cartelli messicani sta mettendo in ginocchio l'Ecuador.
E per comprendere che succede a Quito non aiutano interviste come quella uscita ieri in Italia che fanno dire a un ex console di Correa noto per avere emesso un salvacondotto per Snowden che «il gran beneficiario dell'assassinio di Villavicencio sono gli Stati Uniti».
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