L'ultima sorpresa è che, a partire da questo mese, l'Unione europea ha chiesto all'Italia di aumentare il suo contributo ai conti con 340 milioni di euro aggiuntivi. Altri 340 milioni ogni anno da aggiungere al conto da 17 miliardi. La penultima è che con il regolamento 1169 in vigore da dicembre, ha eliminato l'obbligo di indicare sui prodotti alimentari lo stabilimento di lavorazione. Assestando l'ennesima batosta ai nostri produttori che saranno ammazzati dalle multinazionali e dagli importatori che potranno comodamente spacciare latte, carni e oli provenienti da chissadove e fatti chissacome. Con il risultato che una gran quantità di mozzarelle vendute come italiane sono fatte con latte tedesco e in arrivo dai Paesi dell'Est, mentre due prosciutti su tre venduti come locali provengono da maiali allevati all'estero, soprattutto in Germania. Senza trascurare che, in attesa di imbarcarla nel gran carrozzone, alla Turchia solo nel 2013 di euro ne sono stati assegnati 935 milioni. Tanti e ben camuffati nel burocratese di cui l'Ue è maestra: questa volta alla voce Ipa, lo strumento di Assistenza preadesione con cui si finanziano generosamente i Paesi in predicato di entrare nell'Unione. E fa nulla se sono in tanti ad avere parecchie riserve sulla possibilità di far sedere al tavolo dell'Europarlamento il presidente turco Tayyip Erdogan. Uno che all'Ue che si è permessa di obiettare su condanne e arresti dei giornalisti guardacaso a lui ostili, ha risposto con un invito a «occuparsi dei fatti propri». Ma i soldi (nostri) intanto girano. E vanno in Turchia, ma anche in Serbia che, in attesa di diventare membro, incassa, sempre nel 2013, altri 214 milioni. Mentre 118 sono quelli andati alla Bosnia-Erzegovina e ancora 118 quelli spillati dalla Croazia. Un buon aperitivo in attesa di sedersi all'eurobanchetto a cui pasteggiano in molti. Non l'Italia che in un bilancio da 140 miliardi è il terzo contribuente dopo Germania e Francia, anche se la classifica per Pil pro capite ci mette al dodicesimo posto. E 5,7 sono i miliardi che nel 2012 abbiamo versato in più rispetto a quanto ricevuto.
E poi si chiedono perché aumentino gli euroscettici. Un leviatano da cui dipende il 70 per cento della burocrazia che affonda imprese e agricoltori, tormentando i cittadini. Un mostro capace di coniare miriadi di provvedimenti che penalizzano le nostre eccellenze. Per non dire del made in Italy, un marchio che vale 1,3 triliardi di dollari e che l'Ue si ostina a non voler riconoscere. Rendendo, invece, sempre più costoso per le aziende continuare a investire in Europa. Con il risultato che sono incentivate a delocalizzare in regioni dove il lavoro costa di meno. Nulla a che fare con una visione liberista dell'economia e una giustificazione a cercare Paesi che offrano vantaggi economici e magari meno burocrazia. Perché far lavorare i bambini o trattare gli operai e i contadini come schiavi per battere la concorrenza europea, non ha proprio nulla a che fare con i principi di un'economia di mercato.
GERMANIA UBER ALLES
Così come c'è almeno il dubbio che i regolamenti Ue per ridurre le emissioni di CO2 delle auto nuove (333/2014 e 540/2014) non abbiano alcun effetto sull'abbassamento degli inquinanti, ma solo quello di alzare i prezzi. Favorendo il già forte mercato tedesco. Così come punitiva per i Paesi mediterranei è spesso la politica comunitaria. All'ex presidente José Manuel Barroso fu imposto di ritirare la proposta sull'obbligo di utilizzare bottiglie di vetro per l'olio nei ristoranti. Facendo felici i produttori di bassa qualità con la scusa di evitare lo «spreco di vetro». Così come il Regolamento Ue 653/2014 che modifica «l'identificazione elettronica dei bovini e l'etichettatura delle carni». Niente informazioni su razza, età, alimentazione utilizzata e mercato aperto per le carni tedesche e statunitensi. Con i relativi ormoni. Ma anche l'Italia ci mette del suo, visto che dei contributi Ue nel periodo 2009-2013, è riuscita a spendere (e dunque a incassare) un misero 52,7 per cento.
LA LOBBY DEGLI IMPORTATORI
Gravoso per i produttori italiani il fatto che la Commissione europea abbia sostituito i governi nazionali nel Wto, l'organizzazione che supervisiona gli accordi commerciali. Qui uno dei grimaldelli è lo Strumento generalizzato preferenziale, grazie al quale i Paesi in via di sviluppo esportano i loro prodotti a condizioni daziarie più favorevoli. Il risultato è che il riso di Cambogia e Myanmar sta uccidendo i produttori italiani. Così come il tessile in arrivo dal Pakistan e per il pescato (specialmente tonno) delle Filippine. Perché per le nostre aziende è impossibile competere con chi utilizza manodopera infantile, può liberamente inquinare e pescare senza rispetto degli standard internazionali. Ed è stata la Lega con Matteo Salvini a denunciare a Bruxelles il comportamento «timoroso e remissivo, quando invece andrebbero puniti i comportamenti sleali in violazione di ogni norma internazionale su lavoro e inquinamento». Letale, soprattutto per i produttori dell'ortofrutta nel Sud Italia, è anche l'accordo di libero scambio con il Marocco che taglia le tariffe di importazione. «Sono proprio in aula a Strasburgo - risponde al telefono Salvini - e abbiamo appena votato degli accordi di preferenza commerciale con l'Ecuador e la Moldavia». Sono Paesi da aiutare. «Solo masochismo. Questa Europa aiuta banche e importatori e manda a fondo i nostri produttori. Prima ne usciamo, meglio è».
IL MADE IN ITALY
Una caporetto anche il capitolo del made in Italy, di cui Bruxelles continua a impedire la tutela, definendo una «barriera commerciale» la richiesta dei nostri parlamentari di imporre regole chiare sull'origine dei prodotti. Norme che, invece, sono adottate negli Usa, in Canada, in Giappone e perfino in India e in Cina. E così la contraffazione solo in Italia uccide 110mila posti di lavoro, con un minor gettito fiscale di 1,7 miliardi di euro. A rimetterci abbigliamento e accessori con 2,5 miliardi e il comparto cd, dvd e software con 1,8. Ma per Coldiretti, i dati per l'alimentare sono ancor più drammatici: perché la falsificazione alimentare ci fa perdere 60 miliardi di euro, con uno spaventoso costo sociale di 300mila posti di lavoro. Con la debolezza dell'Europa che diventa un business per le agromafie che oggi fatturano 12,5 miliardi di euro all'anno.
LA CINA E IL TAROCCO
Il colpevole? Nel 2012 il 64 per cento dei prodotti contraffatti entrati nell'Ue proviene dalla Cina. E i dati dell'illegalità sono in aumento, vista l'incapacità (o la non volontà) della Commissione europea di introdurre norme a tutela della produzione autentica e il tema delle «indicazioni geografiche» è ignorato. E lo stesso sembra accadere con il Ttip, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti: un accordo commerciale di libero scambio tra l'Ue e gli Usa che ancora una volta penalizzerebbe i nostri produttori, riducendo i dazi doganali e rimuovendo in molti settori le barriere non tariffarie che dovrebbero limitare le importazioni. Per difendere ad esempio l'ambiente o la sicurezza sanitaria, se non i nostri agricoltori e imprenditori.
VA' DOVE TI PORTA IL BUSINESS
Ci sono poi tutte quelle norme Ue che incentivano le aziende a cambiare Paese inseguendo condizioni più favorevoli. Con abusi e concorrenza sleale grazie al distacco dei lavoratori e alla libera circolazione delle professioni. Sempre più frequenti le finte delocalizzazioni di aziende scorrette che licenziano personale per assumere all'estero lavoratori a buon mercato, coperti da tutele contrattuali molto minori e i cui oneri contributivi sono facilmente aggirabili. Il risultato sono gli infermieri polacchi che lavorano in Italia o i muratori e i camionisti in arrivo dall'Est Europa, dalla Slovenia o dalla Slovacchia. Tutti con contratti esteri e condizioni svincolate da qualunque tutela sindacale che rendono impossibile qualsiasi concorrenza. Con la beffa che spesso le aziende italiane corrette sono poi anche costrette a ripianare il deficit delle casse contributi generato dalle violazioni altrui. E l'Ue ha neutralizzato per l'Ispettorato del lavoro il controllo sulle frodi. Ora c'è anche la direttiva 1307/2013 della Nuova politica agricola comune (Pac) con cui gli agricoltori italiani per «livellare gli importi con gli altri Paesi», lasceranno sul campo (è proprio il caso di dirlo) il 7 per cento dei contributi.
LA CAMPAGNA DI RUSSIA
La decisione delle sanzioni da comminare alla Russia? Nel biennio 2014-15 farà perdere all'Italia tra il miliardo e i 2,4 miliardi di euro, perché Mosca fornisce il 32 per cento del nostro fabbisogno energetico e assorbe il 7 per cento delle nostre esportazioni. A goderne i produttori agricoli del Sud America e il Nord Africa, pronti a sfruttare il blocco. Nessun intervento, invece, da Strasburgo per aiutarci a riportare a casa i fucilieri di marina del battaglione San Marco, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.
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