Non c'è pace per il Guardasigilli. Il decreto con cui a maggio Alfonso Bonafede aveva tentato di rattoppare il pasticcio della circolare scarcera-boss perde colpi. E che colpi: ieri i giudici del tribunale di Sorveglianza di Sassari hanno negato il ritorno in carcere del boss dei Casalesi Pasquale Zagaria, detto Bin Laden, fratello del capoclan Michele. Secondo i magistrati, insomma, Zagaria che era al 41 bis - può restare ai domiciliari nella sua casa a Pontevico, in provincia di Brescia, curandosi in un vicino ospedale, perché il decreto di Bonafede potrebbe rappresentare una illegittima interferenza nel potere giudiziario del potere esecutivo.
I giudici di sorveglianza sardi hanno dunque accolto l'istanza del legale di Zagaria e nella loro decisione ricordano come il tribunale, dopo la circolare del Dap, aveva «compiuto un bilanciamento tra ragioni di sicurezza e diritti del detenuto» a curarsi senza rischiare il contagio da Covid, spostandolo dal carcere ai domiciliari e stabilendo un termine per la concessione. Ma, proseguono i giudici nelle 25 pagine di dispositivo della decisione, il decreto del Guardasigilli ha aperto la porta a una rivalutazione che, per il tribunale di Sorveglianza, «oltre a non essere rispettoso del termine, contiene preoccupanti aspetti di limitazione della sfera di competenza dell'autorità giudiziaria e una riduzione della tutela dei diritti fondamentali alla salute e all'umanità della pena». Quanto basta per sollevare la questione di illegittimità costituzionale alla Consulta e stoppare il ritorno il carcere del boss, che resterà dunque agli arresti domiciliari. Un clamoroso flop che rende ancora più precaria la posizione di Bonafede, da mesi al centro di furiose polemiche.
La decisione di Sassari segue quella arrivata dal giudice di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, che ha anche lui sollevato in 19 pagine di ordinanza una questione di legittimità costituzionale di quel decreto nella parte in cui prevede di «rivalutare» i domiciliari concessi in concomitanza dell'emergenza sanitaria. Il caso di Spoleto riguardava un detenuto condannato a 5 anni e sottoposto a trapianto che aveva ottenuto i domiciliari e che, in seguito al decreto, aveva visto il suo fascicolo tornare all'attenzione del tribunale di sorveglianza umbro per valutare il ritorno in carcere.
Due decisioni che, invece di riaprire le porte del carcere per i detenuti eccellenti, nel caso di Zagaria hanno finito per «arrestare» il decreto di Bonafede, che rischia di dimostrarsi la classica pezza peggiore del buco. Zagaria era finito a curarsi in un ospedale del Bresciano dove abita la moglie - ad aprile, dopo che il Dap aveva «scordato» di indicare, su richiesta dei giudici di Sassari, una struttura dove il boss potesse curare la grave neoplasia da cui è affetto, visto che nel carcere sardo e nei territori limitrofi non c'era questa possibilità. E di fronte al silenzio del dipartimento, incapace di offrire un'alternativa, Zagaria aveva lasciato il 41bis, contribuendo alla bagarre che ha travolto il ministero di via Arenula.
In seguito al terremoto ai vertici del Dap e al tentativo di correre ai ripari di Bonafede, il dipartimento aveva poi indicato, a maggio, il reparto di medicina protetta dell'ospedale Belcolle di Viterbo per Zagaria, segnalando la scelta ai giudici di sorveglianza di Sassari. Che, però, ieri hanno deciso diversamente.
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