L'epitaffio di Mieli sul premier: modi poco saggi

L'editorialista vicino ai poteri forti critica Renzi per il suo «inutile battere i pugni sul tavolo»

Roberto ScafuriRoma A volte le parole non sono pietre, ma sassolini lanciati contro finestre blindate. Quelle dell'Europa, per esempio, oggetto da qualche tempo delle provocatorie «guasconate» del premier Matteo Renzi. Un alzare la voce nei confronti della Ue, dopo esserne stato per mesi il vezzeggiatissimo enfant prodige, che mostra purtroppo tutta la vacuità di una ragione sbandierata in ritardo, e più per difficoltà interne che per convinzioni profonde. Fatto che ne aumenta la portata pericolosa, forse addirittura controproducente. Nonostante negli ambienti Ue si ammetta che «Renzi probabilmente ha ragione sul 70% delle cose che dice», il credito europeo del premier è in caduta libera. Lo testimoniano bene le indiscrezioni raccolte da Paolo Valentino tra i funzionari di Bruxelles e pubblicate dal Corsera: «A Renzi l'Europa interessa poco, ai consigli europei è palesemente annoiato, non gli piacciono i rituali, i meccanismi, il modo di lavorare. Attacca questo e quello, ma poi si spazientisce con i dettagli, che sono tutto, e si estranea». Sembra di vederlo, il giovanotto sbuffante, alle prese con tweet, selfie e Facebook, mentre gli altri 27 capi di Stato, ministri dell'Economia e funzionari d'alto rango discutono di dossier che Matteo trova troppo complessi e noiosi per essere degni d'approfondimento. E con il nuovo rappresentante Calenda, «uno più rissoso di me» l'ha presentato Renzi, le cose non sono destinate a migliorare.Al punto che sembrano vacillare anche i pilastri sui quali è fondato il credito del premier in Italia, e il taglio degli articoli del quotidiano di via Solferino ne è ulteriore testimonianza (fattori di concorrenza con la nuova Repubblica di Calabresi completano il quadro). Assai significativo, al riguardo, è il fondo di Paolo Mieli, «mandarino» per eccellenza dei poteri cosiddetti «forti». Più che revoca della fiducia, uno spazientito warning al viziato fiorentino. Una lezione di storia della diplomazia dal Regno d'Italia in poi che dovrebbe costituire un monito definitivo, rimarcando come questi toni siano tipici delle fasi «più instabili del nostro passato» e quanto possa esser considerato «disdicevole presentarsi nei consessi internazionali battendo i pugni sul tavolo». Ora che la «tentazione di insistere nell'assunzione di posture baldanzose appare di nuovo forte», fa sapere Mieli a Renzi, occorre ricordare quanto sia «poco saggio» questo atteggiamento e quanto «valgano poco o niente le lodi che ci diamo da noi».Difficile però che il premier trovi tempo e voglia di sminuire la propria autostima, e i meccanismi mediatici di un potere che così superficialmente tenta di riproporre in ambito Ue. Sabato, il giorno dopo l'incontro con la Merkel a Berlino, Renzi ha già annunciato che approderà nella Ventotene dove Spinelli e Rossi, al confino, elaborarono il loro sogno europeo.

Annuncio condito dai soliti slogan su «più Europa» e «un'Europa che non perda tempo dietro alle polemiche inutili». Ennesimi sassolini buoni per le veline diffuse da stampa e tivù, non per aprire lo scrigno della Merkel.

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