L'eterno numero due della Lega grande stratega di tutti i segretari

Cambiano i capi, ma lui resta. Bossi lo indicò come "delfino"

L'eterno numero due della Lega grande stratega di tutti i segretari

Che stavolta tocchi davvero a Giancarlo Giorgetti, l'eterno numero due della Lega, lo stratega al fianco dei segretari federali, prima Bossi, poi Maroni quindi Salvini? I capi nella Lega cambiano, lui resta sempre, in penombra anche se in ruoli di peso. Mai però, tranne negli ultimi giorni, in prima fila a dichiarare e farsi intervistare anche nei salotti tv, ribalta a cui ha sempre preferito la discrezione del potere esercitato nelle stanze riservate. L'hanno chiamato infatti il «Gianni Letta del Carroccio», per l'abilità diplomatica dietro le quinte, prima ancora «il delfino» di Umberto Bossi, che ai tempi lo aveva indicato come suo successore («Il futuro è dei giovani come Giorgetti, ma non diciamolo troppo forte perché sennò si monta la testa»). Natali a Cazzago Brabbia, sul laghetto di Varese, padre pescatore, madre operaia in un'azienda tessile, Giorgetti entra nella Lega «quasi per caso» (dirà lui) come sindaco del suo paese eletto in una lista civica. Poi da lì al 1996, già deputato alla Camera, è il primo bocconiano tra i leghisti, laureato con lode, tesi su «Gli stadi di Italia '90» come esempio di sprechi pubblici. Nelle carriere di altri leghisti ci sono alti e bassi, la sua invece è una salita costante, magari finora senza picchi sconvolgenti (ad esempio, non è mai stato ministro) ma neppure arretramenti, in vent'anni di Lega e sei legislature all'attivo. La massima poltrona su cui si è seduto finora è quella di presidente della commissione Bilancio alla Camera, un nodo fondamentale del lavoro parlamentare, ma meno visibile rispetto ad altre cariche politiche, in fondo l'habitat ideale di Giorgetti. Nel Carroccio ha rivestito il ruolo di segretario della Lega Lombarda, un altro posto chiave nel partito, e poi capogruppo alla Camera. Ma appunto, il suo lavoro è sempre stato quello da eminenza grigia, capace di adattarsi ad ogni corso del partito. Molto stretto il suo rapporto con l'ex superministro Giulio Tremonti, uomo di raccordo tra leghisti e berlusconiani sul dossier finanziari. La materia del bocconiano Giorgetti, commercialista professionista e revisore contabile. Un uomo di conti ma col cuore alla politica, e al calcio non solo italiano: tifa Varese ma anche Southampton, il club calcistico inglese i cui supporter sono chiamati «Saints», santi. «Tifare per il Southampton significa già partire che non vincerai mai né il campionato né la coppa. Significa soffrire perché ci si salva solo all'ultima giornata», spiegò, per sottintendere che anche in politica vale lo stesso. Il suo profilo da tecnico gli ha permesso di guadagnare credibilità in ambienti ostili alla Lega, tipo Giorgio Napolitano, che nel 2013 lo chiamò a far parte del gruppo di «saggi» per preparare un programma bipartisan di riforme. «I suoi detrattori lo chiamano il tappo - scrive il Foglio -.

E non perché sia basso, ma perché ogni volta che la Lega cambia corso (o leader) lui si trova al posto giusto per guidare il partito senza farlo sbandare troppo». Anche con la svolta anti-euro della Lega, lui che è in buoni rapporti con Draghi, sembrava destinato a ridimensionarsi, e invece ha già sfiorato la presidenza della Camera, e ora anche Palazzo Chigi.

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