Letta disperato: "Una follia". Smacco per il sistema del Pd

Per dribblare le urne, non è bastata la mobilitazione di esponenti cattolici, associazioni e università

Letta disperato: "Una follia". Smacco per il sistema del Pd

Il Partito Democratico, come sempre accade in Italia nelle fasi spartiacque della lotta per il potere, ha provato a schierare il suo «sistema», però non è bastato. I tempi sono cambiati o la manovra può non riuscire sempre: fa poca differenza. «In questo giorno di follia il Parlamento decide di mettersi contro l'Italia», ha twittato l'ex premier Enrico Letta, appena è divenuto chiaro a tutti che non ci sarebbe stato margine. Due giorni fa si era detto certo che quella di ieri sarebbe stata una «bella giornata». A conti fatti, sono emerse le considerazioni sulla «giornata drammatica». Il Pd non avrebbe voluto ma si andrà al voto. Questo avverrà nonostante le articolazioni che vanno dalla base militante ai tanti mondi, gravitanti o meno attorno al Nazareno, abbiano prodotto una sfilza di argomentazioni affinchè l'eventualità delle urne sparisse. Non è facile distinguere le realtà afferenti in via diretta ai Dem da quelle solo simpatizzanti o da quelle esterne ma assimilate per prossimità ideologica. In ogni caso, la «filiera», un'altra definizione che viene spesso rispolverata, si è spesa dall'alto dei palazzi al basso del terzo settore per un obiettivo: salvare Draghi, certo, ma soprattutto arrivare sino al gong naturale della legislatura.

Com'è noto, il «sistema» del centrosinistra sa essere pervasivo: tocca ogni microcosmo, come nello schema dei «gangli d'Italia» teorizzato da Antonio Gramsci. Il cattolicesimo democratico ha preso posizione in favore dell'ex presidente della Bce con l'appello delle Acli, dell'Azione cattolica e della Fuci. In ambiente ecclesiastico, ha voluto dire la sua anche un livello superiore: durante le fasi precedenti alla caduta, sono arrivate le parole precise della Conferenza episcopale italiana, con il cardinal Matteo Maria Zuppi in testa. L'arcivescovo di Bologna è per tutti un uomo del dialogo, che proviene dalla Comunità di Sant'Egidio ed a cui non si può affibbiare un'appartenenza politica, ma non è mai stato considerato lontano, per orientamento culturale ed aperture politiche nel senso alto del termine, alla formazione guidata da Letta. «Guardiamo con grande preoccupazione alla situazione politica che si sta determinando e che rischia di sovrapporsi ad una fase di crisi più generale che sta già incidendo in modo pesante sulla vita delle persone e delle famiglie», aveva detto il vertice dei vescovi italiani. Non è mancato neppure un certo apporto proveniente dall'Università. Poi l'elencazione può proseguire con i numerosi attori del terzo settore, dunque Legambiente, Gruppo Abele, Cnca, Legacoop Social e Libera: tutti schierati per la permanenza di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Il Pd ci ha provato fino alla fine anche tra i corridoi dell'Aula. Tra gli aspetti della parlamentarizzazione, ieri è spuntata una triangolazione messa in piedi dal segretario Dem e dal ministro Dario Franceschini: il primo ha optato per un summit a tre con l'ex «avvocato degli italiani» e con il ministro della Salute Roberto Speranza, mentre il secondo ha visto sia il capo grillino sia il capo di Dicastero Federico D'Incà, magari per tentare di ricompattare le due anime pentastellate che sembravano divise sul governo.

Si è trattato di prove disperate di tenuta del campo largo da una parte e di preoccupazione per ovviare all'eventualità che la responsabilità del passo indietro di Draghi venisse imputata al centrosinistra dall'altra. Oltre al tradizionale dribbling delle urne, si intende, che è rimasto un colpo inesploso. A questo giro il metodo Dem non ha funzionato: il resto è già propaganda.

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