«Non abbiamo tempo», dice Giuseppe Conte incalzato dal Colle anche ieri. Ma al momento il premier pare interessato sopratutto a fare ammuina, a giudicare dal linguaggio con cui presenta il fantomatico Recovery Plan: «Già dalla prossima settimana inizieremo a ricavare la versione finale», poi «andremo a declinare delle priorità, a dare una prospettiva diacronica ai progetti». Chissà se al vertice europeo di oggi intende cavarsela così. Si inizia alle 10 in videoconferenza ma sarà poco più di un aggiornamento delle rispettive posizioni. «L'importante oggi -avverte Antonio Tajani- è tenere la posizione, sia sulla quantità dei finanziamenti che sul rapporto tra fondi per investimenti e prestiti».
L'attesa è per il primo luglio, quando la presidenza di turno dell'Unione passerà alla Germania. E frau Merkel ha illustrato al Bundestag l'intenzione di chiudere un accordo sui grandi investimenti per la ripresa dell'Europa entro luglio.
A Conte per ora non resta che stare alla finestra e prendere tempo cercando di arrivare a settembre. Ci sono pressioni per sostituirlo, ma più si va avanti, più sarà difficile rimpiazzarlo in corsa mentre si entra nel vivo della presentazione dei progetti italiani a Bruxelles. Il problema è che il governo è attraversato da profonde linee di faglia, con i 5 Stelle divisi al loro interno e il Pd che ieri ha portato un attacco al Decreto dignità, norma simbolo della prima fase di governo pentastellata.
Gli slogan sulla rivoluzione verde e la valorizzazione della bellezza non bastano. Conte deve tirar fuori dal cilindro una proposta a effetto. Si fa strada l'idea di ritirare fuori dai cassetti qualche progetto maxi, grandi opere pubbliche più a uso e consumo dell'opinione pubblica che per convincere Bruxelles. Ieri è circolato il progetto di una «Diagonale del Mediterraneo», un collegamento ferroviario transappenninico per collegare trasversalmente un Paese che ha solo dorsali longitudinali. Servirebbero 5-7 miliardi e sarebbe uno dei progetti per i quali richiedere finanziamenti europei. Ci lavora Investitalia, struttura alle dirette dipendenze di Palazzo Chigi.
Ma c'è anche chi, come Italia viva, mette sul tavolo la grande opera mai realizzata per eccellenza, il ponte sullo Stretto che Matteo Renzi vedrebbe anche come simbolo della battaglia per accorciare il divario Nord-Sud che continua ad aumentare.
C'è un problema: che credibilità avrà in Europa un governo Conte che bussa a denaro per finanziare nuove grandi opere ma continua a traccheggiare su quelle già finanziate. Vedi la Tav. Approfittando di un documento della Corte dei conti che criticava i continui aumenti dei costi causati dalle lungaggini, è ripreso il fuoco di sbarramento sul collegamento Torino-Lione. Un dossier della Lega quantifica in 200 miliardi di euro il valore dei grandi cantieri in panne, tipo la Gronda di Genova.
Come garantire a Bruxelles che il ponte sullo Stretto non diventerebbe l'ennesimo cantiere infinito? I segnali già ci sono: il ministro per le Infrastrutture, in risposta all'appello di Iv, ha già citato la parola magica: l'opera «richiede una attenta valutazione», ha detto Paola De Micheli in stile Toninelli sulla Tav. Come se il ponte dello Stretto non fosse un'opera su cui si studia da decenni.
Silenzio invece sulle vere condizioni a cui l'Unione sottoporrà la concessione dei fondi. Bei, Sure e Mes sono legati a capitoli di spesa specifici. E la fetta più grossa della torta, il piano Next generation da 750 miliardi? Angela Merkel conta di convincere i «Frugal four», (Austria, Olanda, Danimarca e Finlandia), con l'argomento che il mercato interno ha bisogno che ripartano anche i Paesi mediterrani.
«Le risorse, tuttavia, non saranno un pasto gratis - spiega Renato Brunetta - i fondi saranno, infatti, condizionati alla realizzazione di riforme strutturali». Nel piano Colao, ad esempio ce n'era una a costo zero per le grandi opere strategiche: divieto di opposizioni localistiche. Altro che valutazioni. E infatti il piano Colao è già sparito dal dibattito.
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