In Israele ieri una nuova notte di domande, tormento e speranza dopo la notizia apparsa su al Arabiya e poi ripresa dal Washington Post dell'accordo raggiunto da Hamas e da Israele per la restituzione di 100 dei 239 ostaggi rapiti nel giorno della strage in cambio, dice al Arabiya, in cambio di «100 donne e ragazzi» nelle carceri israeliane. Israele nega l'accordo, ma da giorni le notizie girano intorno alle più svariate voci di mediazioni, accordi, in cui sono coinvolti anche il Qatar e l'Egitto, su uno sfondo Usa. L'ipotesi di cui si discute è impossibile da certificare, ma ha alcune caratteristiche che forse la sottraggono alla pura ipotesi del tentativo dei terroristi di guadagnare tempo in un momento di estrema difficoltà sul campo, mentre due ospedali nel centro città che coprono le strutture belliche di Hamas sono assediati e vengono sgomberati, in cui la gente fugge a sud con le bandiere bianche in centinaia di migliaia. Hamas ha un interesse estremo a fermare l'assedio al bunker di Sinwar: per questo non è peregrina l'ipotesi che, tramite uno stato amico, probabilmente il Qatar, si avventuri verso un grosso scambio.
Fino a ora gli ostaggi liberati sono gocce nel mare della sofferenza israeliana: madre e figlia il 20 ottobre, poco più avanti due anziane signore. Solo due giorni fa le ferite psicologiche delle terribili immagini di Hana, 77 anni e di Yagil, 12 anni, i volti distrutti dalla prigionia. La Jihad Islamica ha dichiarato l'intenzione di liberarli e li ha evidentemente costretti a recitare una serqua di tragiche affermazioni propagandistiche. Ma l'idea che Hamas giochi le sue carte due a due non convince Israele: anzi, questa ipotesi spinge a pensare ciò che peraltro è un'idea molto diffusa, nell'esercito e fra i civili, che per costringere Hamas con le buone o con le cattive a rilasciare i prigionieri, lo si debba stringere nell'angolo con la forza. Quindi fino a ora Netanyahu ha detto: «Gli ostaggi sono la nostra prima preoccupazione, combattiamo per recuperarli e cancellare Hamas, insieme. Ci sarà una tregua solo se ci restituiranno i rapiti».
Adesso però l'ipotesi di una grande restituzione aprirebbe un capitolo inedito: è difficile che, per quanto dannoso possa essere rallentare la battaglia, Israele la rifiuti. Nessuno che non sia qui può immaginare il coinvolgimento del Paese di fronte ai volti di quei bambini, di Avigail che ha due anni e mezzo e cui sono stati uccisi tutti e due i genitori ed è nelle mani delle belve che li hanno trucidati; nessuno può astrarsi dal pianto della nonna dei tre nipotini rapiti, anche loro ormai orfani, o dall'urlo della madre trascinata via mentre stringe i suoi due bambini coi cappelli rossi. Di tutti sappiamo i nomi, le medicine di cui hanno bisogno, la dolcezza. Si può ipotizzare che se Hamas propone uno scambio così grosso, e se il mediatore è Doha sostenuta dagli Stati Uniti, è perché Biden ha il desiderio politico di portare Israele a una tregua. Uno scambio di queste dimensioni metterebbe in moto una quantità di protagonisti: la Croce Rossa, L'Egitto, il Qatar, la polizia israeliana, l'esercito.
Si vedrebbero di nuovo in giro con grave pericolo una serie di giovani terroristi (che al Arabiya li chiami bambini non cambia la realtà di ragazzini e giovani già implicati nel terrore) come accadde al tempo di Gilad Shalit, quando fra i 1027 terroristi liberati, si trovava anche Yahya Sinwar.
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