
Si riparte dalla la ricostruzione degli spostamenti di Liliana Resinovich subito dopo essere uscita di casa, la mattina del 14 dicembre del 2021, e dagli approfondimenti genetici sulle formazioni pilifere trovate sul corpo della donna dall'anatomopatologa Cristiana Cattaneo che con la sua perizia ha dato nuova vita all'inchiesta sulla morte della 63enne di Trieste, altrimenti destinata ad essere archiviata come un suicidio.
È la stessa consulente che ha spazzato via questa ipotesi, facendo imboccare definitivamente la pista dell'omicidio, a suggerire ai magistrati le prossime mosse per cercare di arrivare all'assassino di Liliana. Qualcuno che in tutto questo tempo pensava di averla fatta franca e che invece adesso si sente il fiato sul collo. Chi ha ucciso Liliana, riuscendo nell'impresa di far credere che si fosse tolta la vita - nonostante le anomalie di un suicidio a dir poco irrituale, messo in atto stringendosi intorno alla testa due sacchetti di plastica trasparente dopo essersi adagiata in due sacchi neri dell'immondizia - lo ha fatto con una manovra di «chokehold», stringendole un braccio intorno alla gola. Si tratta di una possibilità confermata dalle analisi scientifiche e compatibile «all'interno di una dinamica di soffocazione esterna diretta (con mano, oggetto morbido o sacchetto sul volto) con afferramento e compressione almeno di una parte del volto», in un contesto «di colluttazione (sul corpo della vittima sono stati trovati lesioni e graffi, ndr) o, comunque, di movimenti compiuti nel tentavo di divincolarsi da parte della vittima e di immobilizzare da parte dell'aggressore».
Per il delitto sono state isolate comunque diverse possibili dinamiche. Certo è che sul corpo della vittima sono stati isolati i segni di quatto colpi. Il volto di Liliana «era attinto da lesioni non solo anteriormente, ma anche alla superficie laterale destra e sinistra. A seguire, poi, la mano destra». Complessivamente, quattro poli d'urto (colpi) diversi. E non può essersi trattato di un evento accidentale come una caduta, perché «sarebbe necessario che questa fosse avvenuta in maniera rocambolesca, con un rotolamento o un movimento tale da fare urtare il volto più volte contro una superficie piana o ottusa».
Sarà determinante adesso il lavoro sulle quindici tracce organiche, tra capelli e altre «formazioni pilifere», isolate sul cadavere (sette sugli indumenti, quattro sui sacchetti e altre quattro nelle parti intime). L'esame del dna dirà a chi appartengono. La perizia, contrariamente a quanto si era creduto inizialmente, dimostra che la donna sarebbe morta lo stesso giorno in cui è scomparsa, entro quattro ore dalla colazione.
Quindi le indagini dovranno ricostruire i suoi spostamenti in quelle ore e verificare tutti gli alibi. A partire da quello del marito Sebastiano Visintin e dell'amico speciale Claudio Sterpin, che continuano ad accusarsi a vicenda.
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