Linea dura Meloni: "Già dopo il 7 ottobre niente armi a Israele. E i dem sono isolati"

Le comunicazioni alle Camere: "Appello all'unità su Fitto". E venerdì va a Beirut

Linea dura Meloni: "Già dopo il 7 ottobre  niente armi a Israele. E i dem sono isolati"
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La premier Giorgia Meloni, tra Camera e Senato, alla vigilia del Consiglio Ue, torna sul conflitto in Medioriente, sull'Ucraina, sul dossier immigrazione e sulla competitività europea. «Comprendo le ragioni di Israele che ha bisogno di impedire il ripetersi di quanto accaduto il 7 ottobre, ma questo non vuol dire che io sia d'accordo con tutte le scelte di Israele».

La Meloni fa un distinguo: c'è il governo di Israele e c'è lo Stato israeliano. Pur non condividendo la politica di Netanyahu la Meloni esorta a non isolare lo Stato d'Israele perché «è proprio il suo isolamento la ragione dell'attacco di Hamas». «Isolare Israele è l'unico modo per provare a cancellarla». «Considero l'Italia un'amica di Israele e per ciò credo che si debba avere il coraggio di dire quando le cose non funzionano, come fanno gli amici. Comprendo le ragioni di Israele che ha bisogno di impedire che quanto accaduto lo scorso 7 ottobre possa ripetersi, ma questo non significa che io sia d'accordo con tutte le scelte di Israele». E sottolinea che la posizione italiana sugli aiuti allo Stato ebraico è più rigida rispetto anche a quella degli altri Paesi europei.

Sulla missione Unifil il tono della premier si fa ancor più determinato. «Pretendiamo - dice - la sicurezza dei nostri militari e chiediamo la piena applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza Onu. Ne ho discusso personalmente con Netanyahu domenica. Un ritiro su richiesta unilaterale sarebbe un grave errore, minerebbe la credibilità della missione stessa e dell'Onu e penso che i nostri soldati saranno preziosi anche quando riusciremo a ottenere un cessate il fuoco». Accennando, infine, che proprio venerdì si recherà in Libano in visita alle nostre truppe.

Altro tema importante per la premier è la nomina di Raffaele Fitto alla Commissione europea. «Ci sono momenti in cui l'interesse nazionale deve prevalere su quello di parte - spiega la premier - e mi auguro sinceramente che questo momento sia uno di quelli, senza distinguo e senza tentennamenti». E ricorda che nella scorsa legislatura all'atto della nomina di Gentiloni proprio Raffaele Fitto, in rappresentanza di Fratelli d'Italia, si espresse a favore del candidato e addirittura il presidente Silvio Berlusconi chiese di partecipare ai lavori di una commissione che non era la sua, per poter prendere la parola e intervenire a sostegno di Paolo Gentiloni».

Tra i temi più caldi della giornata parlamentare anche la questione della gestione dei migranti. Alla vigilia dell'arrivo del primo gruppo di immigrati nel centro albanese, la premier ricorda che «l'approccio dell'Europa in materia migratoria è oggi molto diverso grazie soprattutto all'impulso italiano». «Sono orgogliosa - aggiunge - che l'Italia sia diventata un modello. Ho accolto con grande soddisfazione l'attenzione che diversi esponenti di governi europei ed extraeuropei, di diverso colore politico hanno riservato alle nostre politiche». E all'opposizione che continua a criticare la «soluzione albanese» Meloni in aula dice: «su questo siete isolati». La premier parla anche delle Ong. E replica alle parole dei rappresentanti della Sea Watch che avevano definito la guardia costiera come «vera trafficante di uomini». «Sono dichiarazioni indegne - replica la Meloni -, che gettano la maschera sul ruolo giocato da alcune Ong e sulle responsabilità di chi le finanzia».

La presidente del Consiglio poi lancia l'allarme sull'economia del nostro continente. «Nel 1990 l'Unione europea a 12 Stati valeva il 26,5% del Pil mondiale - ricorda - e la Cina l'1,8%. Oggi l'Ue a 27 Stati pesa circa il 16% e la Cina il18%. La vicenda di ridefinire il nostro ruolo e stabilire le priorità è una vicenda che ci deve stare a cuore». Una premessa per aggiungere una stoccata alla transizione ecologica.

«Inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione - conclude - è un suicidio. Non c'è nulla di verde in un deserto, e nessuna transizione verde, alla quale guardiamo con favore, è possibile in una economia in ginocchio».

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