«Sarebbe da parte nostra miope limitarci a gestire la quotidianità e non utilizzare questa forza che altri non hanno avuto per lasciare un segno che possa migliorare il futuro di questa nazione. Non stiamo facendo le riforme per noi stessi. Io immagino una riforma per la quale domani potrei essere paradossalmente ringraziata da qualcuno. Il problema non è rafforzare l'esecutivo ma rafforzarne la stabilità». Detto questo «cerchiamo il dialogo, valutiamo pesi e contrappesi, ma non accettiamo l'immobilismo. Vogliamo un consenso ampio, ma non a costo di non rispettare il mandato che ci hanno dato i cittadini».
È il giorno delle consultazioni allargate per Giorgia Meloni che riceve a Palazzo Chigi le opposizioni per confrontarsi su possibili terreni di convergenza. Sul tavolo ci sono le tre ipotesi di riforma, presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato, forme di governo che puntano a rafforzare la governabilità dell'Italia. L'obiettivo di Giorgia Meloni è garantire stabilità, per evitare che gli esecutivi non possano avere «una visione a lungo termine». Per questo la premier mette sul tavolo le tre ipotesi, ma dicendosi disponibile anche «a cambiare schema» e magari ipotizzare «un modello nostro» («non è detto che l'Italia non possa immaginare un suo modello», dice incontrando i Cinquestelle).
Nelle sfumature, l'ex Terzo polo è a favore dell'elezione diretta del premier sul modello del Sindaco d'Italia, quindi con doppio turno. Mentre le altre forze di opposizione sono disponibili a ragionare su un premierato alla tedesca, ovvero senza elezione diretta ma attribuendo al presidente del Consiglio più poteri.
L'opzione che sembra prendere corpo l'elezione diretta del presidente del Consiglio e il mantenimento dei poteri attuali del Capo dello Stato («è quella che incontra minore opposizione» dice Meloni. Il tutto con una clausola di salvaguardia che farebbe entrare in vigore la riforma dal 2029 per non intaccare le prerogative del Quirinale. Ma si ragiona anche su un pacchetto di riforme sul bicameralismo, sul vincolo di mandato così come non si esclude un ragionamento sulla legge elettorale, fermo restando il «no» al doppio turno da parte di Forza Italia.
Naturalmente se il consenso ampio non si concretizzasse si procederebbe con il referendum confermativo, a meno di raggiungere la maggioranza dei due terzi in Parlamento, impresa non facile da mettere in pratica. Attualmente a Palazzo Madama mancano 21 voti. Un deficit che si potrebbe parzialmente colmare con senatori delle Autonomie e di Azione-Italia Viva. Ma la questione numeri appare ancora più complessa alla Camera. Intanto Meloni non ha fretta: «Continueremo l'ascolto con gli altri livelli istituzionali, la Conferenza Stato-Regioni, i sindaci, corpi intermedi».
Ci sono poi alcune sfumature anche nella maggioranza. Il capogruppo della Lega, Riccardo Molinari, fa sapere di condividere la concertazione, ma ricorda che «noi partiamo dal programma e dall'elezione diretta del presidente. Se si vuole virare sulla elezione del premier chiediamo che vengano mantenute le garanzie sul ruolo del Parlamento». Una mossa probabilmente da ricollegare anche alla trattativa sull'autonomia differenziata, cara alla Lega («ma le due riforme si tengono insieme» dice Meloni).
Forza Italia, invece, con Paolo Emilio Russo ricorda che «da quasi 30 anni proposte di riforma non arrivano a conclusione. Lavorare a una proposta già all'inizio della legislatura e confrontarsi con l'opposizione può fare in modo che questo tentativo sia finalmente fruttuoso».
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