Come? Cade il governo? Ma no, non cade proprio. Il governo è solido e desidera soltanto completare la legislatura per farsi giudicare dagli elettori». Sorride Paolo Zangrillo, ministro della Pubblica istruzione, dopo giorni di fibrillazioni e dispetti tra Forza Italia e Lega. Mattinata trascorsa nella sua villa di Moncalieri a preparare il «Consiglio dei bambini e delle bambine» del 10 dicembre riservato agli scolari di Caivano. Nel tardo pomeriggio trasferta ad Oleggio per un incontro con i giovani amministratori, poi la cena con il circolo di Forza Italia di Novara. «Il weekend è il momento migliore per dedicarmi alla regione» ricorda il suo incarico di coordinatore azzurro del Piemonte.
Ministro Zangrillo, neppure 6 dipendenti statali su 100 hanno aderito allo sciopero generale di Cgil e Uil? È sorpreso del dato? Come si è trasformata la figura del dipendente pubblico un tempo legatissimo ai sindacati?
«Non è la figura del dipendente pubblico ad essersi trasformata, semmai è un certo sindacato ad avere perso per strada il suo Dna. Quello indetto da Cgil e Uil è stato uno sciopero politico che, in quanto tale, ha disorientato i lavoratori. Ecco perché i dati sull'adesione, quelli ufficiali che il Dipartimento della funzione pubblica riporta sul proprio sito internet, non mi sorprendono affatto. Mi sarei piuttosto stupito del contrario».
Dal punto di vista delle relazioni industriali e contrattuali si profila un inverno difficile per la pubblica amministrazione?
«Il mio obiettivo è il dialogo, sempre, per cui mi auguro proprio di no. Nei mesi scorsi abbiamo avviato le trattative per i rinnovi della tornata 2022-2024 e abbiamo chiuso da poco il contratto delle funzioni centrali, che prevede aumenti significativi e molte novità positive per i dipendenti statali. Cgil e Uil non l'hanno firmato rivendicando la necessità di maggiori risorse. Ma voglio ricordare che, alla tornata contrattuale che stiamo negoziando, abbiamo dedicato un terzo della manovra di bilancio, 8 miliardi di euro. Chi ricopre ruoli istituzionali non può rinunciare a garantire il proprio contributo agli equilibri di finanza pubblica, e ciò nell'interesse di tutta la collettività».
A breve lei aprirà un tavolo di confronto con i sindacati confederali. Non è a disagio a incontrare chi, come il leader della Cgil Landini, incita alla «rivoluzione sociale» e si arroga il ruolo di «rivoltare l'Italia come un guanto»?
«Nei giorni scorsi, a valle dell'incontro a Palazzo Chigi con il presidente Meloni, ho riunito i sindacati per avviare un confronto che, oltre alle normali dinamiche negoziali, affronti tutti i temi relativi al benessere dei dipendenti pubblici. L'ho fatto con convinzione, credendo fermamente alla forza del dialogo e del confronto. Landini evoca la rivoluzione sociale, specificando che di fronte all'ingiustizia c'è bisogno di una rivolta. Un pensiero ed un linguaggio che non promettono nulla di buono, lo invito a riflettere. Personalmente io prediligo il dialogo».
Intanto le piazze italiane ribollono in una saldatura tra antagonisti, studenti e immigrati di seconda generazione. C'è chi tenta di dare una spallata al governo con la leva dei disordini?
«C'è evidentemente chi ha interesse a fare di tutte le erbe un fascio, a unire i malesseri per accendere la miccia del conflitto sociale. L'Italia ha già vissuto periodi complessi, che non hanno prodotto risultati positivi. Questa storia, la nostra storia, deve essere per tutti un forte richiamo alla responsabilità».
Nel governo si apre un riequilibrio di deleghe per l'uscita di Fitto promosso vicepresidente Ue. Secondo lei non è più necessario un nuovo ministro agli Affari europei?
«La vicepresidenza esecutiva di Raffaele Fitto testimonia il ritorno dell'Italia al centro della politica europea ed è un grande successo del nostro governo. Non spetta a me suggerire come sostituirlo ma, qualunque sarà la soluzione, sono certo che darà continuità allo straordinario lavoro di questi due anni».
Che cosa sta accadendo in maggioranza? Il conflitto tra il suo partito, Forza Italia, e la Lega dà l'idea di una guerriglia a bassa intensità destinata a proseguire fino alle regionali 2025.
«Non c'è nessuna guerriglia. Da trent'anni siamo una coalizione abituata a confrontarsi, a ragionare e, quando è necessario, anche a litigare, ma sempre con l'obiettivo comune di fare sintesi per presentare agli italiani le soluzioni in grado di far crescere il nostro Paese».
Vediamo di personalizzare lo scontro interno per comprenderne la portata. Perché sia Tajani che Salvini appaiono irrequieti sui rispettivi ruoli e competenze nella maggioranza?
«Concludere una schermaglia con peace and love non mi pare sintomo di irrequietezza. Certamente Antonio Tajani, nella sua qualità di ministro degli Esteri, vive come tutti noi un profondo senso di irrequietezza per i conflitti internazionali che stanno caratterizzando quest'epoca; non credo che le scaramucce locali lo scalfiscano minimamente».
Nell'ultimo sondaggio partitico crescono sia Meloni che Schlein? Come va letto questo anomalo bipolarismo al femminile?
«Avere nei ruoli di presidente del Consiglio e di segretario del principale partito d'opposizione due donne deve essere per il nostro Paese motivo di orgoglio. Vuol dire siamo capaci a riconoscere il valore delle persone a prescindere dal genere.
Tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein c'è un grande spazio per il centro moderato a cui Forza Italia che i sondaggi danno in crescita guarda con impegno e
interesse, avendo sempre presente la necessità di continuare a garantire buona salute alla coalizione di centrodestra che in questi due anni di governo ha dimostrato di saper fare gli interessi dell'Italia e degli italiani».
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