L'intellettuale espatriata "I russi sono sotto choc"

È una delle migliaia di persone che stanno lasciando il Paese: "Impossibile restare"

L'intellettuale espatriata "I russi sono sotto choc"

Olga (ma questo non è il suo vero nome) è un'intellettuale nota in Russia. Dirigente di un'associazione che si batteva per i diritti civili, ha pubblicato libri che hanno vinto premi internazionali; anche Il Giornale in passato l'ha intervistata. Questa volta, però, chiede prudenza, parlando al telefono da una capitale mediorientale, una delle poche, ormai raggiungibili da Mosca: «Sono arrivata ieri, ma i miei familiari non hanno trovato posto. Arriveranno tra un paio di giorni e fino ad allora non posso espormi, non posso correre il rischio che li blocchino. Non so fino a quando ci lasceranno venire via».

Lei come migliaia di altre persone. Perchè avete deciso di partire?

«Molti miei colleghi sono rimasti, ma la situazione è pessima per chi ha mosso qualche tipo di critica a Putin e ai suoi. Ormai è proibito dire qualsiasi cosa. Spero di stare via per poco e spero piuttosto che per il regime sia l'inizio della fine. Nessuno che conosco e di quelli che sono partiti vuole emigrare definitivamente. Molti, semplicemente, hanno i figli che studiano all'estero e non vogliono correre il rischio di essere separati a lungo da una guerra. E questo vale non solo per giornalisti e professori ma anche per l'élite del business».

Cosa intende?

«Non si aspettavano minimamente quello che è successo. Si sono arricchiti, ma erano tagliati fuori dalle decisioni politiche e non contavano nulla. Sono rimasi allibiti, in qualche dichiarazione pubblica è anche emerso. Sugli aerei che portano fuori dal paese, lo vedo anche qui, ci sono molti esponenti del mondo degli affari e dello show business che fino ad ora hanno appoggiato il regime».

E in Russia come descriverebbe la situazione?

«Io posso parlare delle grandi città, conosco meno quello che succede in provincia. Di sicuro anche a Mosca la propaganda ha funzionato: specie all'inizio in molti hanno visto questa guerra come un'azione giustificata, anche se mai, in nessun momento, ho visto l'euforia che aveva caratterizzato l'occupazione della Crimea nel 2014. Negli ultimi giorni parlerei di panico crescente: la situazione è peggiorata improvvisamente, il valore del rublo si è dimezzato, è diventato impossibile ottenere altre valute, sono iniziate le code davanti alle farmacie. Da Ikea fino a Starbucks, hanno chiuso negozi popolarissimi, anche se il caso psicologicamente più significativo è quello di McDonald, che per i russi rappresenta perestroika e fine del comunismo. Ma al di là dei simboli, migliaia di persone hanno perso il lavoro da un giorno all'altro. Siamo tornati ad una assoluta autarchia, come se questi ultimi 30 anni non ci fossero mai stati. Tutto in una settimana: un crollo improvviso e uno choc».

Che effetto avrà questa situazione sull'opinione pubblica?

«Difficile dirlo. Non penso proprio che in un attimo la gente si metta a dire: è stata colpa del regime che ci ha portato fin qui. Penso piuttosto che in prima battuta crescerà il sentimento contro gli americani e contro la Nato.

È un meccanismo tipico dei Paesi autoritari: la prima reazione è di difesa, noi siamo innocenti, siamo stati aggrediti, la colpa è degli altri. Ma la situazione è così terribile e acuta che non riesco a paragonarla con altre. Ero piccola quando c'è stata la crisi di Cuba, me ne hanno parlato poi, ho vissuto gli anni '80 e '90. Mai visto niente del genere».

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