Filippo Anelli, presidente dei medici, è d'accordo sull'aumento del numero di iscritti a Medicina?
«Bisogna prima definire quale rapporto dei numero dei medici rispetto ai cittadini si vuole ottenere. Con 14mila accessi a Medicina sappiamo che solo tra 11 anni manterremo costante il rapporto tra medici e cittadini che è ora del 4 per mille, sopra la media europea».
Che significa?
«Avremo gli stessi medici che abbiamo oggi. Ma se vogliamo aumentare il numero bisogna sistemare i laureati nelle specializzazioni per dar loro un lavoro e un futuro».
In passato non è accaduto.
«Non si è fatta una corretta programmazione rispetto ai bisogni. Nessuno si è chiesto: di quanti anestesisti o di cardiologhi abbiamo bisogno?».
Cosa è avvenuto in pratica?
«Nel tempo si sono laureati 9mila medici mentre le borse di specializzazione sono rimaste 6mila. Questo ha creato una carenza di specialisti mentre 3mila medici laureati sono rimasti fermi senza possibilità di completare il percorso».
Come si è rimediato?
«Due anni fa il governo ha aumentato a 17mila il numero di posti in specialità».
Con che conseguenza?
«Tra 4 anni avremo 60mila specialisti. E potremo compensare la carenza attuale».
Come si può evitare di ricadere nell'errore?
«La ministra Bernini ha ben compreso il problema e ci ha spiegato che se aumentano il numero degli ingressi saranno aumentati anche i posti di specializzazione».
Perché i nostri medici snobbano la sanità pubblica?
«Il sistema non è più attrattivo. Il turn over è bloccato. In un reparto di 20 medici, quando 5-6 vanno in pensione i carichi di lavoro si distribuiscono sui altri medici. Sono aumentati gli straordinari non retribuiti e le malattie dei medici per sovraffaticamento. Crescono anche i casi di prepensionamento».
E i giovani medici?
«Molti vanno all'estero dove le retribuzioni sono doppie rispetto alle italiane».
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