La notizia è arrivata, come ovvio, da una canale Telegram, Baza, ben noto per le sue fonti nei servizi di sicurezza russi: i funzionari del ministero della Difesa di Mosca hanno ricevuto l'ordine di cancellare messaggi e documenti inviati attraverso il servizio di messaggistica creato da Pavel Durov, appena arrestato a Parigi. Il timore è che mitici codici crittografici che proteggono la sicurezza di Telegram possano ora in qualche modo essere violati.
Nulla di cui stupirsi perché il servizio, come scriveva qualche tempo fa una ricerca dell'Atlantic Council è diventato «un campo di battaglia digitale nella guerra russa contro l'Ucraina». Telegram è il principale strumento di gestione delle informazioni su entrambi i lati del fronte. Ma sono i russi ad approfittarne di più. Fino al punto che Andriy Kovalenko, capo del Centro per la lotta alla disinformazione presso il Consiglio di sicurezza e difesa nazionale dell'Ucraina arriva a dire che «l'arresto di Durov può essere paragonato all'hackeraggio del codice Enigma da parte degli inglesi durante la Seconda guerra mondiale».
Anche la detenzione del geniale informatico di origine russa separa dunque le due parti in conflitto.
Per i russi è una provocazione del mondo occidentale che rivela la sua ipocrisia nel campo della libertà di parola, per gli ucraini quanto è successo offre la possibilità di spezzare una catena pericolosa che lega Durov al potere russo. Fino a qualche anno fa, a dir la verità, Durov e il Cremlino sembravano combattere su fronti opposti. Di fronte al rifiuto di consegnare i codici segreti il Cremlino vietò Telegram, impegnandosi in una guerra contro l'imprenditore durata qualche anno e di fronte alla quale l'interessato pensò bene di trasferirsi negli Emirati Arabi. Poi le cose sembrano esser cambiate. E alla svolta, secondo le fonti ucraine, non sono estranee le necessità finanziarie di Telegram stesso, che non ha ancora fonti di ricavi tali da autosostenersi.
Per finanziare la propria attività Durov creò una nuova società per le criptovalute, Ton (Telegram Open network) su cui scambiare una moneta digitale, il gram. L'operazione fu avviata con una sottoscrizione pubblica tra gli investitori americani che è arrivata a raccogliere 1,7 miliardi di dollari. A mettere il bastone tra le ruote dell'operazione fu però la Sec, l'autorità di controllo americana, che individuò una serie di irregolarità imponendo a Durov la restituzione dei soldi e il divieto di raccogliere altri soldi negli Stati Uniti. In cerca di finanziatori l'imprenditore si rivolse ad altri operatori attivi sui mercati internazionali: sopratutto arabi e oligarchi russi (non manca tra gli altri il solito Roman Abramovich), che secondo gli ucraini hanno contribuito al riavvicinamento con il potere di Putin.
Nel frattempo Telegram è diventato la principale fonte del discorso pubblico in Russia. Blogger (anche ostili al governo), giornali messi fuori legge ma anche milizie come la Wagner e forze di sicurezza, hanno scelto Telegram come canale di informazione. Senza suscitare nessuna protesta ufficiale. Nei giorni scorsi si era parlato di un possibile incontro tra Durov e Putin, che si trovavano entrambi in Azerbaijan. L'incontro non è avvenuto, ma alcune fonti (anch'esse ucraine) parlano di contatti ad alto livello con l'amministrazione presidenziale.
Tutto fino all'arresto di sabato, che ha spiazzato gran parte degli osservatori.
Perché mai Durov, che sapeva di essere sotto inchiesta, è andato a «suicidarsi» consegnandosi di fatto alle autorità? C'è perfino chi parla della volontà consapevole di farsi arrestare per evitare guai peggiori. Oltre che quello degli Emirati l'imprenditore ha anche il passaporto francese. È la garanzia che non sarà mai estradato in nessun'altra parte del mondo.
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