È tempo di indagini tecniche sulla funivia del Mottarone. Accertamenti irripetibili per rispondere ai quesiti della perizia che dovrà stabilire perché il 23 maggio si è spezzata la fune traente dell'impianto facendo precipitare la cabina numero 3 con 15 persone a bordo: tutti morti, tranne un bimbo.
Il consulente Giorgio Chiandussi, nominato dalla Procura di Verbania, ha consegnato ieri alla procuratrice Olimpia Bossi e al sostituto Laura Carrera una prima relazione dopo il sopralluogo sui rottami effettuato nei giorni scorsi per formulare le domande a cui gli esperti nominati dalle parti dovranno dare una risposta, in particolare relative alla causa del cedimento del cavo e al malfunzionamento del sistema frenante. Determinate sarà capire se i freni di sicurezza entravano in funzione per segnalare qualche anomalia della fune che l'inserimento dei forchettoni avrebbe fatto passare in secondo piano, oltre a non evitare che la funivia precipitasse. Il caposervizio Gabriele Tadini, ora ai domiciliari, si è assunto la responsabilità della decisione «scellerata» di inserire i ceppi per impedire ai freni di entrare in funzione. Ma il gip non ha creduto alla versione del «tutti sapevano», non convalidando il fermo del titolare delle Ferrovie del Mottarone, Luigi Nerini, e del direttore d'esercizio Enrico Perocchio, che rimangono indagati per concorso in omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime e rimozione di sistemi di sicurezza. Ma le indagini sono destinate ad allargarsi ai dipendenti che sapevano dei forchettoni e ai tecnici che si sono occupati della manutenzione. Gli avvisi di garanzia arriveranno non appena saranno pronti i quesiti della perizia, per consentire a tutte le parti di nominare i propri consulenti per seguire gli accertamenti. Gli altri manovratori dell'impianto ora temono di finire nel registro degli indagati, anche se erano solo esecutori. «Dicono che dovevamo rifiutarci di mettere i ceppi, ma noi prendiamo ordini dal caposervizio e non pensavamo ci fosse un pericolo. Tutti sapevano, non si può scaricare la colpa sugli operai. I ceppi erano su da tre settimane, sinceramente ero tranquillo. Mi fidavo dei miei superiori», si sfoga con i giornalisti Emanuele Rossi, uno dei dipendenti in servizio la mattina del disastro. Era stato Tadini, come sempre, a dire di mettere i forchettoni per bypassare il problema al sistema frenante. Una prassi, a suo dire avallata da Nerini e Perocchio per evitare di dover fermare la funivia per la manutenzione. Le prove di questa procedura si stanno cercando nelle mail e nei messaggi.
Dopo le questioni giuridiche che hanno visto il gip smontare la ricostruzione della Procura, è il momento delle analisi tecniche su quello che rimane della funivia, ieri ispezionata anche dagli esperti del ministero delle Infrastrutture che conducono un'indagine parallela. La cabina lunedì sarà rimossa e trasportata altrove. Un'operazione complicata, ma necessaria, per esaminare la «testa fusa» - il cuneo di piombo che aggancia la fune traente alla cabina, che al momento si trova conficcato in un albero nei pressi del relitto - e il forchettone che ha impedito al sistema frenante di emergenza di entrare in funzione.
Spostare la cabina richiederà tempo e competenza: la strada non sembra abbastanza larga per i mezzi dei vigili del fuoco e utilizzare un elicottero potrebbe essere pericoloso vista la presenza dei cavi portanti della funivia.
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