Quando pensiamo alla violazione dei diritti umani ci vengono in mente Paesi lontani in cui mancano le libertà fondamentali, in cui si finisce in carcere per un'idea, omosessuali impiccati o donne lapidate per adulterio e altre atrocità simili, non certo lo sciacquone di un water. Cosa c'entra lo sciacquone? C'entra, c'entra, è un processo durato vent'anni tra vicini di casa, a leggerne la cronaca sembra una storia comica, ma non è una puntata di Forum, è una realtà giudiziaria, il motivo per cui la magistratura italiana non funziona.
Se Franz Kafka fosse stato un cittadino italiano di oggi non avrebbe scritto Il processo, avrebbe scritto Il cesso per descrivere la giustizia nel nostro Paese. Vi sintetizzo la vicenda del cesso, che inizia con quattro fratelli in provincia di La Spezia, a Golfo dei poeti (nome perfetto per il romanzo del nostro Franco Cafcca), i quali installano un nuovo bagno, confinante con la camera da letto dei vicini, una coppia, marito e moglie, che nel 2003 si rivolge al tribunale di La Spezia perché il bagno fa troppo rumore e «provoca rumori intollerabili derivanti dagli scarichi». Il giudice di primo grado respinge la causa, e da lì inizia una serie di corsi e ricorsi che si trascinano fino a oggi. Non ho idea di quante carte abbia prodotto questo caso del cesso ma a leggere le cronache penso migliaia.
A un certo punto mandano periti, esperti, fino a stabilire che il famigerato bagno, confinante con la testiera del letto dei due coniugi, configura «un notevole superamento della normale tollerabilità ma anche uno spregiudicato uso del bene comune, posto che la cassetta del wc era stata installata nel muro divisorio, avente lo spessore di centrimetri 22 mentre avrebbe potuto trovare collocazione nel loro locale bagno». Immagino quanto siano stati complessi i calcoli, le verifiche, le misurazioni, le congetture per poter arrivare a una simile conclusione. Senza considerare che i giudici d'Appello abbiano anche appurato quanto la vita di questi due coniugi fosse turbata a ogni orario, e il disturbo dello sciacquone fosse «aggravato dal frequente uso notturno». Terribile, no? Anche perché si configura «una lesione al diritto della libera e piena esplicazione delle proprie abitudini della vita quotidiana, diritti costituzionalmente garantiti e tutelati dall'articolo 8 della CEDU, Convenzione europea dei diritti dell'uomo». (Chissà se quando hanno scritto questo articolo 8 hanno pensato che sarebbe stato usato per uno sciacquone).
In ogni caso mica è finita lì, si arriva in Cassazione, che condanna i fratelli a pagare 500 euro per ogni anno di disagio, e ovviamente a spostare il bagno, rifacendosi a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo sulla vita privata e familiare, «riconoscendo alle parti assoggettate ad immissioni intollerabili un consistente risarcimento del danno morale». Che letta così sembra che piovessero escrementi direttamente in testa, ma le immissioni intollerabili sono in realtà «il superamento di tre decibel rispetto agli standard della normativa specifica» (altri periti, per calcolare esattamente i decibel).
Insomma, morale della favola, come fanno i processi in Italia a durare tanti anni? In molto meno tempo Albert Einstein ha scritto la teoria della relatività, spiegando l'intero universo, altro che uno sciaquone.
Non so, se moltiplicate questa vicenda per milioni di cause, rubinetti, lavandini, porte che cigolano, magistrati che indagano questo o quel politico che non gli va a genio, ma anche influencer e Selvagge Lucarelli che fanno causa a chiunque per diffamazione (lì è facile misurare i decibel perché in genere sono liti che violano i diritti umani in televisione), vi rendete conto che a livello giudiziario siamo un grande, enorme, gigantesco cesso intasato.
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