Il destino di Israele è il destino dell'Occidente. E se l'Occidente lo dimentica, dimentica anche un parte di quei valori su cui è stato fondato. Eppure l'antisemitismo si propaga a macchia d'olio: «Tante persone non hanno più degli amici, perché sono diventati aggressivi e ripetono sciocchezze. Ma un ebreo è la garanzia vivente del significato della felicità che si può provare anche nei momenti più difficili» dice Fiamma Nirenstein, giornalista israeliana e italiana ed editorialista di questo giornale, che ieri in Sinagoga a Milano ha presentato il suo libro «La guerra antisemita contro l'Occident» alla presenza del direttore Alessandro Sallusti, di Ferruccio De Bortoli, della regista teatrale e direttrice artistica Andrée Ruth Shammah e di Klaus Davi. «Sabato - aggiunge l'autrice - i nostri soldati erano in Libano e a Gaza. Alla fine del Kippur hanno suonato lo shofar, la cosa più bella a cui si deve pensare in questo momento». La mente ritorna inevitabilmente all'attacco di Hamas del 7 ottobre dell'anno scorso: «Immediatamente gli ebrei sono corsi in aiuto dei loro fratelli - spiega -. Il popolo ebraico si è comportato come un leone. Questa è una guerra che non stiamo vincendo per la forza, ma per lo spirito». Fiamma Nirenstein individua almeno tre temi con cui hanno dovuto convivere gli israeliani dal 7 ottobre: «Il primo è il male - prosegue -. Abbiamo visto cose che non abbiamo mai visto nemmeno con l'Isis, che non sventrava le donne incinta e non bruciava i bambini al collo della mamma. C'è stato un ampliamento del concetto stesso del male». Il secondo elemento è l'indifferenza: «Mentre ci aspettavamo solidarietà per quanto successo -osserva la giornalista - ci è cascata addosso una valanga di menzogne e di odio». E poi «c'è il comportamento delle organizzazioni internazionali. A noi hanno detto che facevamo genocidi...». L'orgoglio di rappresentare una comunità sta tutto nelle parole di Andrée Ruth Shammah: «Nessuno di noi, dentro il suo cuore, ha il dubbio che Israele possa finire. Anche se bisogna far capire che i valori di una società giudaico-cristiana sono in pericolo. Il 27 gennaio non dobbiamo parlare della Shoah, ma dell'Iran e far capire cosa è l'Iran». Per Sallusti, Nirenstein sta combattendo una duplice guerra. Una fisicamente in Israele, dentro e fuori dai bunker. «La seconda contro l'indifferenza e la partigianeria dei mezzi di informazione. L'ultima volta che la stampa italiana ha tirato fuori i coglioni era l'11 settembre 2001. C'è sempre un ma di troppo. Israele ha ragione ma... Mi piacerebbe avere una classe politica che togliesse quel ma».
In questo contesto «dobbiamo rimanere uniti» esorta Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica di Milano. «Israele - conclude Fiamma Nirenstein - con folle tenacia e millenaria resistenza, dona al mondo la consapevolezza di non vivere nel vuoto. Abbiamo attraversato la Shoah, attraverseremo anche questa».
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