Se fosse stato un grande sarebbe arrivato col 10, visto che la fermata del tram è proprio davanti all'ingresso del Pirellone, al 22 di via Fabio Filzi a Milano. Invece, come una sposina stizzita, Luigi Di Maio è arrivato a piedi, alle 17,15, un'ora e mezza dopo il suo «sposo», Matteo Salvini (che invece è entrato in macchina dal passo carraio), per pronunciare il loro fatidico sì. E, dopo, come due adolescenti, si sono scambiati bacini virtuali per tutto il tempo, postando le loro fotine sui social. «Come promesso, lavoro fino all'ultimo per dare un futuro migliore all'Italia», commenta Salvini su Facebook una foto con Luigino che preferisce invece una stories su Instagram: «A Milano per proseguire il lavoro sul contratto di governo. #TerzaRepubblica».
Ma sebbene l'amore sia fresco, questo matrimonio parte già menomato. Non mancano i primi screzi causati da una basilare incompatibilità di carattere tra i due sposini. Fingono unità ma sotto, sotto sono molto diversi. Salvini lo conferma alla fine dell'incontro: «Su molti punti c'è accordo, su altri c'è ancora da lavorare. Se la compatibilità arriverà all'80% si parte, altrimenti ci abbiamo provato».
Cinque ore non sono bastate e stamani alle 10,30 ci riprovano. «Sono contento perché si parla di temi, non di nomi e cognomi, non di ministri, ma della legge Fornero, delle infrastrutture. Vediamo se riusciamo a trovare un accordo nelle prossime ore, perché il presidente Mattarella vuole sapere». Ma anche se ieri «di nomi non abbiamo ancora parlato», adesso manca il più e il meglio: la figura del premier. Le concessioni importanti che il Movimento ha ingoiato fanno intendere che Di Maio insisterà nuovamente perché sia lui a sedere a Palazzo Chigi. Salvini conclude: «A me interessa che tutto questo non comporti rotture nel centrodestra, visto che io sono il portavoce di una coalizione che non comprende solo la Lega». E anche Di Maio, uscito bello sorridente alle 20,30, ha confermato che «siamo sulla buona strada». Tra loro si tratta di un vero e proprio contratto, con tanto di dati anagrafici dei due leader nella prima pagina e le firme in calce. Ora manca solo un notaio (Sergio Mattarella) che apponga il suo bollo.
All'incontro erano presenti per la Lega Roberto Calderoli, Nicola Molteni, Claudio Borghi, Armando Siri e Gian Marco Centinaio nonché il vicesegretario leghista Giancarlo Giorgetti. Per i Cinque stelle, invece, c'erano Danilo Toninelli, Alfonso Bonafede, Vincenzo Spadafora e Laura Castelli. Presente anche il responsabile della comunicazione del M5s Rocco Casalino al quale, inspiegabilmente, i carabinieri fanno il saluto militare.
Ma c'è anche chi ha contestato il luogo dell'incontro per il programma. «Trovo che la scelta del luogo sia inopportuna - afferma Gianluca Comazzi, capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale - il Pirellone è il simbolo dell'alleanza vincente tra le forze di centrodestra, sbagliato utilizzarlo come laboratorio politico tra partiti tanto diversi». E come ogni vertice che si rispetti non sono mancati i centri sociali con cartonati dei due protagonisti con su scritto «double face» che girati diventavano Berlusconi e Renzi e la scritta «stessa faccia della casta».
Indro Montanelli, corrispondente in
Spagna nel 1937 per il Messaggero, descrisse la battaglia di Santander come nient'altro che «una lunga passeggiata militare con un solo nemico: il caldo». Un po' come la passeggiata di ieri, con un unico nemico: la noia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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