L'Italia è arrivata ieri a Santiago di Compostela, sede delle riunioni di Ecofin ed Eurogruppo, con il proposito di non recitare la parte del pellegrino pronto al «penitenziagite». Atti di contrizione sui due dossier più caldi sul tavolo, ossia su come riformare il Patto di Stabilità e sulla ratifica del Mes, non ve ne saranno. Anche se la posizione del governo Meloni, intenzionato con Francia e Spagna a ottenere lo scorporo dal calcolo del deficit gli investimenti per la transizione verde e digitale, rischia di risultare ancor più urticante per i Paesi frugali alla luce della netta ostilità ribadita dalla Lega a sottoscrivere le nuove regole del fondo salva-Stati. La firma di Roma sul documento già sottoscritto dai restanti 19 Paesi membri dell'Unione continuerà a mancare. «Non gliela voteremo mai (la riforma, ndr)», ha assicurato ieri una fonte del partito di Matteo Salvini all'Adnkronos. Una rigidità a prova di incrinature, malgrado la moral suasion degli altri partner europei si stia facendo via via più ruvida. L'ultimo a tirare Roma per la giacchetta è stato, non appena messo piede in Galizia, il presidente dell'Eurogruppo Pascal Donohoe: «Si noti che questa ratifica è importante non solo per l'Italia che beneficerà del backstop del Mes, ma che questa rete di sicurezza deve essere istituita per l'intera area dell'euro». Ma anche se il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti «è ben consapevole» delle aspettative dei colleghi come sottolinea una fonte Ue, ciò non basterà a sciogliere un nodo che non è di tipo procedurale, ma politico.
Il periodo post-pandemia sta quindi facendo riemergere le divisioni pre-Covid su questioni fondamentali, legate sostanzialmente a come tenere in bolla i conti pubblici e a stabilire le norme sanzionatorie per chi sgarra. Restare sui binari risulta però complicato nel mentre la Bce, che ieri ha incassato dai ministri finanziari la nomina nel board di Piero Cipollone (nel tondo) al posto del neo-governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, impone una politica monetaria da paraocchi, con la stessa pervicacia di chi pretende rigore in un momento di indebolimento congiunturale. Tra questi c'è anche il commissario Ue all'Economia, Paolo Gentiloni: «Per sostenere gli sforzi della Bce volti a contenere l'inflazione, la politica fiscale deve essere restrittiva. Ciò significa eliminare gradualmente tutte le restanti misure di sostegno energetico». Proprio come (rac)comandato da Christine Lagarde («Via gli aiuti-tampone, o alzeremo ancor più i tassi»), davanti alla quale i ministri hanno ieri fatto scena muta sull'ennesimo inasprimento dei tassi. «Non ci sono state domande o messe in discussione», ha rivelato Madame Bce. Francoforte non ha neppure più bisogno di affiggere alla porta il cartello «Non disturbare il manovratore», tra gli applausi della Bundesbank e del ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner. Secondo cui «stiamo ponendo fine alla politica fiscale espansiva degli anni del Corona- virus». Con ciò intendendo che le politiche austere devono valere per tutti.
Non a caso, Berlino vuol dare al nuovo Patto un'impronta «realistica che porti l'anno prossimo ad abbassare i deficit e a ridurre i livelli di debito». Ovvero, poca o nulla flessibilità.
Così, a Santiago di Compostela si darà un altro calcio al barattolo. Rimandando tutto al prossimo Ecofin di ottobre a Lussemburgo, quando la ministra dell'Economia e vicepremier spagnola, Nadia Calviño, dovrebbe presentare una prima proposta di accordo.
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