Con Marino Roma è una Capitale da Terzo mondo

Se esistessero dei sondaggi realmente accurati e in grado di sondare in profondità l'umore di una popolazione, siamo certi che i romani direbbero questo: Roma è una bellezza stuprata

Con Marino Roma è una Capitale da Terzo mondo

Prendete gli abitanti di una città e non di una città qualsiasi, ma di una capitale che dovrebbe essere attrezzata alla grande per qualsiasi emergenza, e immaginate a ringraziarli perché il Generale Inverno gli ha risparmiato il disastro di una nevicata e lo spettacolo penoso di strade dissestate e traffico in tilt. Ecco, i cittadini in questione sono i romani e la città è la capitale d'Italia. Anzi, come si chiama ora, Roma Capitale. E per ora Roma è capitale di un istinto depressivo diffuso più del tifo calcistico, di una sensazione ubiqua di devastazione morale e materiale che aggredisce qualunque cosa, anche la vista dei monumenti millenari che la dovrebbero rendere la città più bella del mondo. Ma solo a chiacchiere.

Se esistessero dei sondaggi realmente accurati e in grado di sondare in profondità l'umore di una popolazione, siamo certi che i romani direbbero questo: Roma è una bellezza stuprata. Giornalmente violentata. L'ho verificato l'altro giorno con una collega che mancava da Roma da un paio di anni; è rimasta colpita, quasi inorridita da un livello di degrado che tra un po' metterà Roma in cima alle capitali, ma a quelle del terzo mondo, e forse nemmeno in testa alla classifica. La nostra Capitale è sporca di una sporcizia che si insinua sui marciapiedi e risale ovunque come una pianta parassitaria. È convulsa da un traffico che pare una bestia indomabile e cieca. È corrotta da un sentimento collettivo che parte dal disastro estetico e arriva alla degradazione morale. Trovatene uno di romano, che sia di destra o sinistra o come vi pare, contento di vivere oggi nella città dove, avrebbe detto Heidegger, «si vede ciò che è passato ma non ciò che è stato». Una città dove il concetto di servizi pubblici - la mobilità su tutto - è cartastraccia da documenti amministrativi. Mafia Capitale è solo una protesi di questo dramma scoperchiato quotidianamente, e forse neppure la più pericolosa.

Di tutto questo qualcuno deve renderne conto. Qualcuno deve spiegare a un turista, a un viaggiatore, a uno sfigato residente perché le periferie romane sono campi di battaglia, le strade suk di vetture paralizzate, i quartieri borghesi in qualche punto cumuli di monnezza. Esiste una rabbia muta a Roma che finora è esplosa solo sporadicamente, ma che cova come moneta comune nei discorsi rassegnati della gente. E dunque, chi deve dar conto di tutto questo? Roma ha un sindaco che si chiama Ignazio Marino. Nella sua bella imitazione, Max Paiella lo dipinge come uno che conosce Roma tanto quanto un marziano poco flaianesco. E già questo, perché così è, basterebbe a qualificare l'operato di chi pensa più alle piste ciclabili che agli asili nido o all'odissea quotidiana dei pendolari cittadini. Ma non basta. Marino è stato sostanzialmente sfiduciato dai partiti che lo hanno fatto eleggere e dalla stragrande maggioranza dei cittadini che lo hanno votato e ora si mangiano mani e unghie e vorrebbero ingoiare la scheda elettorale. Anche una battaglia condivisibile in astratto, vedi le questioni dei vigili urbani o degli autisti Atac, nelle sue mani si trasforma in un boomerang che sbatte addosso alla sagoma di un personaggio politicamente inattendibile e amministrativamente inefficace.

Qui non si tratta di destra o sinistra o della saga ridicola della Panda Rossa. Qui si tratta di un ragionamento freddo e misurato sulla capacità di governo di una giunta e del suo sindaco che, tanto per dire, con lo stop ai finanziamenti per AltaRoma rischia di espellere l'alta moda dall'Italia regalandola solo a Parigi. Il romano di oggi è stanco, quello di domani può diventare disperato e dunque arrabbiato. Se Marino, che è un eccellente medico, dovesse fare una diagnosi della città che amministra, direbbe che le cure impartite finora sono state sbagliate. E regolarsi di conseguenza.

Invece è ancora lì, nella torre eburnea di un isolamento totale dalla città e dai suoi miasmi, che magari lo farà sopravvivere ancora per qualche tempo ma non sappiamo a quali costi. Anzi lo sappiamo e facciamo finta di niente per non deprimerci ancora di più.

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