L'ultima pugnalata della Azzolina

Il dpcm in vigore dal 6 marzo assicura agli studenti superiori (purché la loro scuola non sia in zona rossa), una didattica in presenza pari ad almeno il 50% (e fino al 75%) delle ore di frequenza

L'ultima pugnalata della Azzolina

Il dpcm in vigore dal 6 marzo assicura agli studenti superiori (purché la loro scuola non sia in zona rossa), una didattica in presenza pari ad almeno il 50% (e fino al 75%) delle ore di frequenza. Una garanzia sulla carta, in quanto il decreto prevede che il presidente di una Regione o di una provincia autonoma possa applicare misure da zona rossa e sospendere la didattica in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado in presenza di un aggravamento del quadro epidemico. «Resta sempre garantita la possibilità», fatta qui salva anche per le zone rosse, di «svolgere attività in presenza qualora sia necessario l'uso di laboratori o per l'effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali». Nessun cenno ai «lavoratori chiave». Su di loro non si erano espressi neanche il decreto e l'ordinanza del Miur richiamati nel testo di legge e firmati dall'ex-ministra Lucia Azzolina.

A chiamare in causa i «lavoratori essenziali», in una nota del 5 novembre 2020 (n. 1990), inviata un giorno prima dell'entrata in vigore del dpcm del 3 novembre, fu a suo tempo Marco Bruschi, già capodipartimento Miur per l'istruzione e la formazione. In quell'atto Bruschi scriveva: «Nell'ambito di specifiche, espresse e motivate richieste, attenzione dovrà essere posta agli alunni figli di personale sanitario direttamente impegnato nel contenimento della pandemia in termini di cura e assistenza ai malati e del personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali, in modo che anche per loro possano essere attivate, anche in ragione dell'età anagrafica, tutte le misure finalizzate alla frequenza della scuola in presenza». Quando lo scorso 3 marzo è rispuntata la nota del 5 novembre di Bruschi che riproponeva il tema dei key workers, centinaia di migliaia di genitori e di insegnanti hanno pensato che il ministero aprisse alla didattica in presenza. È toccato a Luigi Fiorentino, capo di gabinetto del Miur, in una nota del 4 marzo, spegnere l'illusione sui figli dei key workers, con Bruschi ormai con un piede fuori dal ministero. Facendo infuriare l'ex ministro Azzolina, inutilmente polemica.

Ma in base a quali criteri un lavoratore sanitari a parte si può dire «chiave»? E perché Azzolina, se quei criteri li aveva chiari, non li ha fissati quando ancora occupava la poltrona di viale Trastevere? Tanto (fuffoso) rumore per nulla.

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