L'ultimo reduce della Brigata ebraica: "Non torno in Italia, l'antisemitismo dilaga"

"Clima infame". E Cividalli (98 anni) rinuncia a presentare il libro sul sionismo

L'ultimo reduce della Brigata ebraica: "Non torno in Italia, l'antisemitismo dilaga"
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«Sono amareggiato oltre ogni dire, mi sembra di essere tornato al 1938 e l'idea di ritrovarmi in un'Italia ostile a noi ebrei mi ripugna». Nelle sue parole si avverte il peso di un secolo di storia. E tutta la gravità del momento. Piero Cividalli, 98 anni, ultimo reduce italiano della Brigata ebraica, ha appena deciso di non tornare in Italia, dove avrebbe dovuto partecipare - testimone d'eccezione - a un ciclo di conferenze con Stefano Scaletta, storico e autore di un libro, attualmente in stampa, sulle vicende della formazione sionista che contribuì alla Liberazione compiendo il primo sfondamento della Linea Gotica sul Senio.

Ottant'anni dopo, «sionista» è diventato un insulto scagliato contro gli ebrei. E nel cuore di Piero si è riaperta una ferita, mai del tutto chiusa da quel lontano 1938. Allora, il Paese che era il suo tradì lui e la sua famiglia, colpita dalle leggi razziste, e oggi ai suoi occhi un pezzo d'Italia sembra tradire di nuovo gli ebrei sulla scorta di minoranze militanti che, negli atenei e nelle piazze impongono la dittatura dell'odio a maggioranze indifferenti o compiacenti.

Un atto di accusa potentissimo, quello di Piero: «Mi sento umiliato, offeso, molto deluso. Dovevo venire in Italia ma sono troppo arrabbiato per le notizie che ricevo, mi sembra che alcuni italiani siano ancora fascisti nell'animo, danno la colpa di tutto agli ebrei, dimenticando che questa guerra è iniziata col massacro del 7 ottobre da parte di Hamas, che vuole distruggerci, buttarci in mare». È questa ostilità che lo indigna, questo sentimento che definisce «anti-Israele ma in realtà antisemita». E parla di «fascismo della sinistra». Il fatto che la Brigata ebraica sia fischiata o mal tollerata il 25 aprile - accusa - «è una vergogna per l'Italia». Da testimone vivente di quella storia, Piero ha seguito la ricerca di Scaletta e il suo libro, «La brigata ebraica fra guerra e salvataggio dei sopravvissuti alla Shoah», frutto di un lavoro di 4 anni su fonti in ebraico, inglese e italiano. Una ricerca importante, possibile grazie a una borsa di studio del ministero degli Esteri, proprio una di quelle che i collettivi studenteschi vogliono boicottare. Ed è con una mail indirizzata a Scaletta che Piero ha comunicato la sua decisione di non sbarcare in Italia per le presentazioni, previste a Milano, Brescia e Torino.

Pittore, a lungo insegnante di arte, cittadino italiano, Piero da molti anni vive in Israele, dove oggi peraltro coltiva una discreta avversione per il Likud. «I miei figli partecipano alle manifestazioni contro Netanyahu e anche io sono contrario - racconta - Il premier ha grandi responsabilità, io condivido la posizione degli Usa, ma da qui a incolparci di tutto ce ne corre».

Cividalli era già tornato varie volte in Italia. E da Tel Aviv segue lucidamente le vicende della guerra, combattuta sul campo in Medio oriente e politicamente nelle piazze occidentali: lo hanno turbato le offese rivolte alla senatrice Liliana Segre e i blitz di studenti che hanno imposto alle istituzioni accademiche il rigetto degli accordi di collaborazione con Israele, quello Stato ebraico che lui ha difeso - dopo essersi arruolato 18enne nella Brigata - prendendo parte alle guerre di indipendenza (dal '48 al '73), lui che ha un'indole pacifista e una cultura umanista, respirata fin da bambino fra le mura domestiche, in cui ricorda di aver giocato con le figlie di Nello Rosselli, amico di famiglia.

Famiglia importante e generosa la sua. «Mio padre - racconta - volontario nella Prima guerra mondiale, fu cavaliere di Vittorio Veneto e medaglia d'oro al valor militare». E sua nonna, dopo la prima guerra mondiale, fondò il primo istituto ortopedico toscano donando un palazzo e con altre elargizioni. Nel 1937 il padre Gualtiero fu chiamato a dirigere i restauri a Palazzo Strozzi ma dovette rinunciare per le persecuzioni «razziali». Aveva anche rischiato di restare ucciso in un agguato e sfuggì fortunosamente.

«Il mio bisnonno materno, Alessandro D'Ancona, dantista e letterato, era stato sindaco di Pisa, e senatore del Regno. Professore e rettore alla Normale - racconta - dove una piazza ancora porta il suo nome. Ritrovare in quella stessa università questo boicottaggio è una sensazione infame».

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