L'ultimo spettacolo, e le proteste, prima del lockdown

Cronaca della celebre commedia di Flaiano (quanto mai attuale) e di un j'accuse a scena aperta

L'ultimo spettacolo, e le proteste, prima del lockdown

Cronaca di un epilogo annunciato, in una giornata qualunque di un qualunque teatro italiano, domenica 25 ottobre, aspettando l'attuazione del decreto che chiude tutte le sale. L'ultimo spettacolo prima del lockdown. Mettendo in scena una commedia, si preannuncia la tragedia.

Milano, Teatro Menotti. Alle ore 16,40 - con qualche minuto di ritardo rispetto al programma e giusto poche ore prima del blackout definitivo del mondo dello spettacolo, fissato dalla mezzanotte - attera sulla scena Un marziano a Roma, adattamento firmato da Emilio Russo della celebre pièce di Ennio Flaiano, ai cui personaggi dà voce, in tutte le sfumature possibili, l'attrice Milvia Marigliano: un'ora di assolo, con musiche dal vivo di Raffaele Kohler, per uno dei racconti più geniali del grande giornalista-sceneggiatore e, insieme, dei più clamorosi insuccessi della storia del nostro teatro. Parabola tragicomica di Kunt il marziano, la cui notorietà improvvisa quanto effimera viene in poche settimane bruciata con freddo cinismo, Un marziano a Roma nacque come breve e affilatissimo racconto satirico, uscito sul Mondo nel 1954, per poi diventare, per la penna dello stesso Flaiano, una commedia teatrale - protagonista un Vittorio Gassman biondo platino - che debuttò al Teatro Lirico di Milano nel novembre 1960. Sessant'anni fa. Accolto dai fischi e dalle pernacchie del pubblico, proprio come il povero Marziano nel finale del racconto, lo spettacolo fu presto ritirato. Da cui la celebre battuta del suo autore: «L'insuccesso mi ha dato alla testa».

Nata male, la commedia è cresciuta peggio. Non è mai diventata uno spettacolo da botteghino, il film per la televisione dell'83 di Antonio Salines non se lo ricorda nessuno, ma da allora «un marziano a Roma» è diventato un modo di dire ma soprattutto una satira perfetta sulle dinamiche cultuali di Roma e dell'Italia - di ineccepibile attualità. Il genio visionario di Flaiano anticipò profeticamente l'incapacità di una società futura, che è la nostra contemporaneità, incapace di stupirsi troppo a lungo, in cui tutti digeriscono e omologano tutto, che fa dell'eccezionale il quotidiano e viceversa. E che ingurgita ogni cosa servano in pagina i giornali, ieri, o i social network oggi, in un'enorme confusione tra verità e immaginario, qualsiasi sia l'argomento di cui si parli: un normalissimo essere alieno o un misterioso virus terrestre è lo stesso. E così nel nulla virtuale niente finisce per avere più un senso. Non resta che abbandonare il pianeta, lasciare Roma, l'Italia e la sua società di intellettuali annoiati...

Eppure neanche Flaiano, così anticonformista, così paradossale, sarebbe stato capace di immaginare i teatri chiusi per emergenza sanitaria, nell'Italia del 2020, mentre un «folla ondeggiante» di intellettuali annoiati che fino a ieri invocava a gran voce un lockdown durissimo per ristoranti, scuola, sport e tutte le altre attività possibili, oggi invece, toccata nel proprio mondo piccolo di sale e salotti, ne implora la riapertura. Tra i cinematografari di via Veneto di ieri e le chat culturali di oggi, poco cambia. Stessi egoismi, stessa autoreferenzialità. CentoAutori, un solo grido: «Covid, la rivolta della Cultura».

Doveva essere una rivoluzione per l'umanità, eppure l'imprevisto atterraggio sulla terra - a Roma, Villa Borghese - di un'astronave da cui sbarca un essere proveniente da Marte, alla fine non cambia niente. «Se è infelice anche un Marziano...».

È stata una giornata triste e malinconica, domenica, per il mondo delle spettacolo. L'ultima, prima della chiusura. E finita la commedia - salutato il marziano Kunt che si dirige, solo, «a lunghi passi morbidi», verso Villa Borghese per riprendere la sua astronave - il regista e direttore artistico del teatro Menotti, Emilio Russo, ha preso il microfono davanti a 36 spaesati spettatori in platea per dare voce a tutti i lavoratori del mondo dello spettacolo. Lavoratori «arrabbiati, offesi, delusi» per il decreto di chiusura dei teatri fino al 24 novembre, vittime di una politica incompetente e incapace di uno sguardo lucido di fronte all'emergenza. Kunt rischiava il pignoramento, per debiti, dell'aeromobile. I teatri, anche peggio.

E se fallissero?

Nemmeno un marziano, del resto, sarebbe capace di trovare il modo per tutelarsi dal pericolo incombente del contagio e, allo stesso tempo, da quello del ridimensionamento imponente della cultura. Intanto, sipario.

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