Mélenchon rinnega l'ego e apre all'accordo. "Non lascerò che l'estrema destra vinca"

Ma il leader del caravanserraglio del Nouvel Front Populaire preferirà la guida dell'opposizione che fare il vice-Macron

Mélenchon rinnega l'ego e apre all'accordo. "Non lascerò che l'estrema destra vinca"
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Chiuse le urne la Francia trattiene il fiato. Come e più dello scorso giugno - due settimane di scontri e saccheggi scatenati dalle banlieue - e delle devastanti marce dei «gilets jaunes» nel 2018. Sino ai ballottaggi la tensione rimarrà altissima. Da Parigi a Lione, da Bordeaux a Rennes e Grenoble come nel resto dell'Esagono negozianti, ristoratori, centri commerciali hanno deciso di sospendere le attività e barricarsi. A protezione dei loro esercizi gli operatori hanno tirato giù le serrande, innalzato pannelli e iniziato il conto alla rovescia. Intanto le forze dell'ordine presidiano massicciamente gli obiettivi a rischio e gli edifici pubblici.

A spaventare sono le annunciate manifestazioni dell'estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon, il leader del Nouvel Front Populaire. Una stramba ma aggressiva carovana, creata unicamente per fermare la marcia di Bardella e co., in cui si ritrovano gauchistes arrabbiati, vecchi stalinisti, «antirazzisti» e altri coriandoli sinistrorsi assieme ai rinati socialisti di Raphael Gluksmann, terza forza (con il 13,8 per cento) alle europee di giugno. Un'alleanza provvisoria quanto fragilissima. Con buona pace delle rassicurazioni del ben più moderato (ma ingenuo) Gluksmann, il pirotecnico Mélenchon è ovviamente la star assoluta del NFP.

Già trotskista in gioventù e poi ministro socialista con Jospin, nel 2008 ruppe con il PS e nel 2016 costruì un suo partito personale (La France Insoumise) diventando una presenza fissa sulla scena politica transalpina. Grazie alla sua oratoria travolgente e a una grande spregiudicatezza l'uomo è capace d'interpretare il malcontento di diversi (e disomogenei) segmenti della frammentata società francese: ex comunisti e anarchici ma anche tribù multietniche delle periferie, militanti woke e altri grumi assortiti di disperazione urbana. Nella sua narrazione tutti loro sono il «popolo della Francia creola», l'altro «popolo» senza rappresentanza, diritti e potere. Una visione demagogica ma in parte pagante. I suoi variopinti sostenitori apprezzano la violenza verbale - nel suo ultimo intervento televisivo ha sogghignato quando un giornalista gli ha rimproverato il macabro slogan del NFP «ogni flic morto è un voto in meno per l'RN» - e gradiscono la condiscendenza verso Hamas e l'islamo-gauchismo, l'ultima mesta frontiera della sinistra gallica.

All'apparire dei primi dati Mélenchon non ha deluso il suo pubblico. Umiliato nuovamente il povero Gluksmann, ha preso per sé tutta la scena e, forte del buon risultato (28-29 per cento) ha rilanciato la sfida ai lepenisti chiedendo a sua volta la maggioranza assoluta per NFP (ovvero per se stesso), offrendo una pseudo desistenza agli invisi moderati. «Per il secondo turno, il NFP è presente in un duello nella maggior parte dei casi, il più delle volte contro il Rn. Secondo i nostri principi, da nessuna parte permetteremo che la Rn vinca». Arduo convincere gli opposti elettorati a convergere E poi il vecchio trotskista conosce la sua gente e già prevede l'esito.

Meglio essere il primo degli oppositori che un comprimario in un governo di coalizione con il detestato inquilino dell'Eliseo. A ben vedere il medesimo calcolo fatto con Chirac dal babbo di Marine Le Pen. Ai demagoghi governare spaventa.

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