M5S ruba voti a tutti e non li dà a destra

Le tre identità grilline ai ballottaggi: cambiamento, protesta e ora forza di governo

M5S ruba voti a tutti e non li dà a destra

I ballottaggi hanno confermato il rilevante significato politico di queste Amministrative. È in corso un cambiamento radicale, che le analisi sul voto dei prossimi giorni illustreranno appieno. Sin d'ora, però, si può fare qualche osservazione sugli aspetti principali.

1 Il crescere continuo della disaffezione. Si allarga una vasta e articolata area di distacco e, talvolta, di protesta tra gli elettori. La crescita delle astensioni (ha votato solo metà dell'elettorato), il successo in diverse città del M5S, il trionfo di De Magistris a Napoli sono fenomeni distinti e separati tra loro ma mostrano uno scontento profondo verso la politica tradizionale. Non si tratta di una circostanza solo italiana: la Spagna con Podemos, la Grecia e per certi versi anche la Francia ce lo indicano. Ciò che colpisce è che si tratta di un trend che riserva, nel caso di proseguimento nei prossimi anni, esiti imprevedibili e preoccupanti.

2 La trasformazione dell'M5S. La vittoria a Roma e a Torino rappresenta il fatto di maggior rilievo. M5S ha mostrato una triplice identità. Continua a rappresentare il simbolo della protesta e del desiderio di cambiamento (il candidare due donne, per di più giovani, alla guida di Roma e Torino è emblematico) e attrae una larga base di elettorato, anche da altri partiti, compreso il Pd. Ha vinto in quasi tutti i centri, grandi o piccoli, ove è giunto al secondo turno, tanto che Massimo Franco lo definisce una «macchina da ballottaggio», per la sua capacità di attrarre voti dappertutto. In secondo luogo, M5S comincia a divenire una scelta dell'espressione del disagio sociale e abitativo, un po' come era la sinistra. E in terzo luogo, il M5S costituisce anche una forza di opposizione al governo Renzi e per questo suo ruolo ha richiamato molti voti del centrodestra. Insomma, M5S riesce a raccogliere voti dappertutto ma difficilmente gli elettori M5S sono accorsi in soccorso agli altri candidati di opposizione. A Milano una buona parte degli elettori pentastellati non ha votato Parisi al secondo turno, preferendo astenersi. E anche a Bologna l'apporto M5S alla candidata leghista è stato molto inferiore alle aspettative. La tempestiva analisi dell'Istituto Cattaneo (a cura di Vignati ed altri) mostra come buona parte dei voti del M5S al primo turno si siano diretti all'astensione nel secondo. Solo a Napoli le prima analisi (dovute a Cataldi e Paparo del Cise) registrano un forte flusso di voti dai M5S a De Magistris (ma anche qui l'Istituto Cattaneo mostra anche un forte flusso verso l'astensione). Ma il capoluogo campano costituisce un'eccezione, dovuta alla particolare immagine del candidato, visto anche dai pentastellati come alfiere della protesta contro l'establishment. Mentre Borgonzoni e Parisi sono apparsi più legati alle forze tradizionali e meno meritevoli di consensi.

3 La non risolta crisi del centrodestra. Il caso di Milano è emblematico. Grazie a Stefano Parisi il capoluogo lombardo ha visto la fucina di un nuovo centrodestra e l'elevata percentuale di voti raggiunti da un outsider che in pochi mesi è riuscito a mettere seriamente in discussione la vittoria di Sala, già data per scontata mesi fa con un ampio margine. Ma lo stesso centrodestra ha mostrato i suoi limiti non riuscendo ad attrarre gli elettori M5S e subendo defezioni, come suggeriscono alcuni analisti (ad esempio Amadori e Noto) anche dalla stessa base leghista (e, come sostiene La Russa, anche quella di Fdi), infastidita dalla scarsa considerazione di Parisi verso il Carroccio. Molti milanesi non hanno voluto scegliere Parisi pur apprezzandolo a causa della sua alleanza con Salvini e La Russa. E al tempo stesso l'elettorato di costoro ha finito in parte col non votarlo. Insomma, Parisi non è riuscito a persuadere a sufficienza le «estreme» della sua base elettorale, mentre per Sala sono diventare determinanti. Parisi non ha poi recuperato i consensi scivolati negli anni scorsi dal centrodestra verso le astensioni: un fenomeno più volte analizzato che costituisce tuttora un problema per l'area moderata. In definitiva, il «laboratorio» milanese del centrodestra ha avuto certo successo ma necessita un ripensamento critico.

4 L'accrescersi delle difficoltà per Renzi e le implicazioni sulle riforme istituzionali. L'esito complessivo di questa elezione rappresenta una sconfitta per il centrosinistra (a Torino in primo luogo) e per Renzi. Sia in relazione alla contestazione interna al Pd, sia in termini di consenso complessivamente goduto dal suo partito nel paese. Il numero di comuni già amministrati da Pd e oggi perduti (solo in Toscana il Pd è sconfitto in cinque ballottaggi su sei) lo mostra inequivocabilmente: una parte dell'elettorato Pd è attratto in qualche misura da M5S, mentre non accade il contrario. Ciò mette in discussione il risultato, sin qui dato per scontato dall'ex sindaco di Firenze, del referendum di ottobre.

E anche il meccanismo stesso dell'Italicum, alla luce di questi risultati, può favorire fortemente i grillini (come peraltro il professor D'Alimonte aveva indicato già mesi fa).

In definitiva, la tripolarizzazione del sistema politico continua a radicarsi. Con l'inevitabile esplosione del «nuovo» rispetto al «vecchio».

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