Dal buio alla luce. Don Roberto Ponti, sacerdote dei Paolini, ha vissuto per quattro lunghi giorni l'incubo del «casco» per tornare a respirare. Ricoverato nel reparto di terapia subintensiva dell'ospedale di Lodi, per il sacerdote di 54 anni la fede è stata la via d'uscita.
Nove anni in Repubblica democratica del Congo, l'epidemia da ebola che l'ha costretto a rigide misure sanitarie, la malaria (contratta due volte) e ora il Covid. Dopo essere risultato positivo al tampone, don Roberto è stato ricoverato a Lodi, sotto lo staff del professor Sergio Paglia, a capo del pronto soccorso di Codogno e Lodi. E a chi minimizza o chi parla di complotto, come padre Livio direttore di Radio Maria, risponde: «Il coronavirus esiste, è una brutta bestia, abbiate almeno rispetto per il personale medico che spende la propria vita per gli altri e per i tanti morti da Covid».
Don Roberto, come sta?
«Ora sto meglio, sono stato dimesso e vivo nella mia comunità assistito dai miei confratelli».
Come ha scoperto di essere positivo?
«Abbiamo avuto alcuni casi tra i nostri confratelli. Avevo avuto qualche giorno di febbre ma niente di grave. Ho assistito mio padre negli ultimi giorni della sua vita. Per far stare tranquilla la mia famiglia, ho pensato di sottopormi al tampone. Mentre celebravo l'ultima messa insieme a mio papà, ho ricevuto la notizia: positivo al Covid. All'inizio non avevo sintomi. Poi ho cominciato a respirare male. All'ospedale è emersa una polmonite interstiziale. E a un certo punto, i medici mi hanno detto: per il suo bene, deve indossare il casco. Ho cercato di rimanere calmo, di pregare e di fare quello che chiedevano».
Cosa si pensa in quei momenti?
«Sono rimasto con il casco per quattro giorni. Ti tiene in vita il fatto che devi affidarti alle cure, anche se è difficile perché il corpo non è più tuo. Ti devono aiutare in tutto, ti devono lavare, non riesci a mangiare, non riesci a vedere bene. Senti il carico di questo strumento legato alle spalle che fa un rumore assurdo. Ma mi fidavo, di Dio e dei medici, che mi hanno monitorato in continuazione. Mi sentivo al sicuro».
La fede è stata la sua forza
«Sì, assolutamente. Pregavo tanto, tra me e me. E ho fatto anche la comunione, attraverso il casco».
Ci sono stati momenti bui?
«Sì, certo. Uno di questi è quando chiedi come stai e non ci sono risposte. Non capisci se stai migliorando. Vedi pazienti intorno a te che sembrano stare meglio e tu invece ti vedi allo stesso punto: sono momenti di scoraggiamento. Ma se mi chiede se ho avuto paura di morire, rispondo di no».
Padre Livio ha detto che «il coronavirus è un complotto sotto l'impulso di Satana». Cosa risponde?
«Che il Covid esiste. Non si può negare il lavoro dei medici e del personale che dedica giorno e notte per gli altri, a volte dando perfino la vita, è da stupido. E vedere chi minimizza o nega il virus fa rabbia. La politica deve interessarsi del bene comune».
Che
messaggio lascia il Covid?«La malattia può arrivare in qualunque momento, quando meno te lo aspetti. Non spaventiamoci all'eccesso, ma ricordiamoci di tenere tutte le attenzioni possibili per evitare il peggio».
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