A dar retta a Emmanuel Macron, la presidenza di turno francese dell'Unione, iniziata ieri, rappresenterà «un punto di svolta per l'Europa». A dar retta ai suoi avversari il presidente si prepara, invece, a trasformarla in una piattaforma da cui influenzare il voto dell'8 aprile e garantirsi così la permanenza all'Eliseo. Di certo, la concomitanza tra un semestre Ue a guida francese e la campagna per l'Eliseo rende assai ambigue le manovre di un presidente sospettato di guardare più ai propri interessi elettorali che non a quelli dei partner europei.
In questa prospettiva i rischi maggiori per l'Italia arrivano dalla gestione francese delle politiche migratorie. Pur di non venir messo all'angolo dai candidati della destra d'Oltralpe, Macron ha già imposto a Bruxelles il rinvio di qualsiasi riforma di quel Trattato di Dublino che penalizza l'Italia e tutti gli altri paesi di primo arrivo. Il peggio potrebbe arrivare con l'approvazione delle riforme del trattato di Schengen «ispirate» da Macron e già presentate a metà dicembre alla Commissione Europea. Grazie a quelle riforme la caccia ai migranti, praticata dai gendarmi francesi lungo la nostra frontiera fin dal 2019, diventerà una prassi ratificata e accettata da tutta l'Unione Europea. Macron potrà così raccontare agli elettori di aver usato la presidenza di turno per ottenere il via libera al respingimento in Italia dei migranti irregolari. Noi non potremo far altro che continuare a tenerceli vita natural durante.
Certo, qualche briciola delle tante riforme promesse da Macron in vista del semestre francese può beneficiare anche noi. L'obbiettivo più condivisibile, sancito nella recente lettera al Financial Times firmata congiuntamente da Macron e da Mario Draghi, resta la modifica del patto di stabilità europea adottato dopo la crisi finanziaria del 2008.
Ma la richiesta d'arrivare alla riduzione dei debiti pubblici senza i drastici tagli alla spesa pubblica e gli insostenibili aumenti delle tasse impostici a suo tempo dalla Germania rischia di scontrarsi con i «nein» di un nuovo governo di Berlino costretto a fare i conti con l'inflessibilità della componente liberale. E poiché l'avvio del semestre francese coincide con l'inizio della presidenza tedesca del G7, Macron potrebbe esser tentato dal sacrificare le intese con l'«amico» Draghi per rilanciare, a livello europeo e internazionale, il tradizionale rapporto con Berlino. Anche perché la promessa di Macron di costruire un'Europa «potente nel mondo, pienamente sovrana, libera nelle proprie scelte e padrona del proprio destino» va interpretata tenendo conto di quella naturale grandeur che spesso sovrappone o confonde interessi francesi ed europei.
In questa prospettiva anche la promessa di puntare su sicurezza e difesa potrebbe indurre Macron a dimenticare l'Italia per rinverdire, invece, le intese con una Germania sempre decisiva nel campo dei grandi investimenti. Nella costruzione di questa grande piattaforma elettorale, il candidato Macron deve comunque muoversi con estrema prudenza. Anche perché le aspirazioni di molti francesi non coincidono affatto con la sua visione europeista. E infatti il primo scivolone non s'è fatto attendere.
L'enorme bandiera europea fatta sventolare ieri su un Arco di Trionfo da cui era scomparso il tricolore bianco, rosso e blu ha sollevato la sdegnata protesta della candidata repubblicana Valérie Pécresse pronta a ricordare a Macron che «presiedere l'Europa» non significa «cancellare l'identità francese».
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