Madia, il ministro delle gaffe che non conosce la sua riforma

La responsabile della Pubblica amministrazione in tv spiega la legge sugli statali: «I dirigenti che non puniscono i fannulloni rischiano l'arresto». Ma non è vero

Madia, il ministro delle gaffe che non conosce la sua riforma

Spiace davvero doverlo rilevare, ma tra le tombe del cimitero di Petilia Policastro, nel Crotonese, così come nelle austere ed eleganti stanze di via Colli della Farnesina, dall'altra sera c'è gran subbuglio. In Calabria le povere spoglie del notaio Nicola Madia, nonché del figlio penalista Giovan Battista , maestro d'arte oratoria; nella zona tra Farnesina e tribunale di Piazzale Clodio, le attive figure del nipote Titta, cassazionista principe del foro, magari anche di suo figlio Nicola. È tutto un gran sobbalzare: quattro generazioni di cultori del diritto, già provate dalle scelte politiche della bisnipote Marianna (il primo Titta fu deputato di Mussolini e del Msi fino agli anni Cinquanta), hanno ascoltato la discendente ministro della Repubblica discettare ancora una volta di materie (per lei) oscure. Fino a spiegare in diretta a Piazzapulita la riforma nella Pa: «... Se non allontana quel lavoratore, è il dirigente stesso che viene licenziato e può essere perseguito per reato penale». Anche il conduttore sobbalza: «Teoricamente il dirigente potrebbe essere arrestato?». Eh... è reato penale... quindi sì», sorride Marianna con perfidia.Orbene, per una ministra divenuta celebre per aver scambiato un ministero per un altro (venti minuti di infervorato discorso a Zanonato piuttosto che a Giovannini), che volete che sia quell'inutile pleonasmo (ecco: vi cadiamo anche noi per simpatia)? «Reato penale» è sì come dire «acqua bagnata», ma che ci sarà mai di grave, considerato che non è neppure detto che sia prevista la misura dell'arresto (per tanti reati non lo è)? E per una signorina che fu fidanzata con il figlio di Giorgio Napolitano, Giulio, che volete possa significare aver scritto nel curriculum: «Laurea con lode tra un mese»? Che era una secchiona a scuola, e che per questo fu presa all'Arel di Enrico Letta, racconta lei, specialista in frasi che diventano inni alla gioia inconsapevole del Contemporaneo. Come il celebre: «Non capisco molto di politica, ma porto in dote proprio la mia inesperienza».Con quelle gote botticelliane Marianna può sospirare qualsiasi frase, e il suo contrario. Così come aveva detto, subito dopo la nomina a ministro della Funzione pubblica, di avere «idee precise e forti: se Brunetta, appena insediato, se la prese subito con quelli che definì impiegati fannulloni, noi non faremo così, cominceremo dall'alto, dai dirigenti». La donna è mobile, si sa. E Madia non fa eccezione, a voler rileggere il suo cursus honorum nel Pd tracciato dall'(ex) amica Chiara Geloni in una lettera aperta tempo fa: «Quando Veltroni ti ha scelta come capolista, frequentavi l'Arel di Enrico Letta. Sei partita veltroniana, ti sei detta estimatrice di D'Alema, hai votato alle primarie per Bersani. Qualcuno mi dice di averti visto a qualche riunione dei Giovani turchi, ma leggo che tu neghi... Hai dapprima capeggiato la rivolta contro Marini al Quirinale, poi hai frequentato riunioni dei civatiani... Infine, sei andata alla Leopolda e ti sei detta renziana». Che volete che sia? Peccatucci veniali, volatilità muliebre, inesperienza esibita davanti a tante volpi, e nessun reato penale. Piuttosto sono proprio le risposte di Marianna, a renderla speciale: «Ho sbagliato a votare Bersani, non avevo capito quanto ci fosse bisogno di Renzi nel Paese. E ho risbagliato di recente, nel passaggio complicato con Letta. Non ero convinta, poi con le Europee s'è capito che la gente è con lui».

Rispondendo sul marito produttore cinematografico: «Mi aiuta? È stato il primo a spingermi ad accettare l'incarico di ministro. Il suo socio è Fausto Brizzi, nell'entourage renziano della prima ora». E precisando infine le «tante cose sbagliate scritte su di me», chiarisce: «Raccomandata io? No, proprio no». Genio.

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