Mai così pochi bebè dall'Unità d'Italia. Effetto Covid sui morti

La popolazione italiana è calata dello 0,3%. E l'età media è passata da 43 a 46 anni

Mai così pochi bebè dall'Unità d'Italia. Effetto Covid sui morti

È un'Italia sempre più vecchia, con pochi bambini e una popolazione in calo dello 0,3% rispetto al 2020, composta da più donne (+51,2%) che uomini, quella fotografata dall'Istat nell'ultimo censimento. Alla dinamica demografica segnata da un eccesso di mortalità dovuto al Covid e alla forte contrazione dei movimenti migratori, si sono sommati nel 2021 gli effetti recessivi dovuti al calo delle nascite che hanno raggiunto un nuovo minimo storico dall'Unità d'Italia. Il decremento della popolazione interessa soprattutto il centro e il nord, mentre è più contenuto al sud e minimo nelle isole.

Nel nostro Paese l'età media si è innalzata di tre anni rispetto al 2020 (da 43 a 46 anni). Un fenomeno, quello dell'invecchiamento, che è ancora più evidente nel confronto con i censimenti passati. Basti pensare che nel 2021 per ogni bambino si contano 5,4 anziani contro meno di un anziano per ogni bambino del 1951, con un indice di vecchiaia (rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e quella con meno di 15 anni) aumentato da 33,5% a 187,6%. Per quanto riguarda le differenze territoriali la Campania continua ad essere la regione più giovane, mentre la Liguria quella più vecchia. La dinamica naturale negativa dell'ultimo decennio ha subito un'ulteriore spallata provocata da un nuovo record minimo delle nascite (400mila) e da un elevato numero di decessi, conseguenza anche dell'emergenza sanitaria, che a differenza di quanto accaduto nel 2020 non è concentrato al nord ma si manifesta su tutto il territorio, soprattutto nel Mezzogiorno: il numero dei morti (701.346), sebbene in diminuzione rispetto al 2020 (quasi 39mila in meno), rimane significativamente superiore alla media 2015-2019 (+8,6%). Per il presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, però, i dati del 2022 mostrano un riallineamento al livello di mortalità compatibile con l'invecchiamento della popolazione. Anche il calo delle nascite - più evidente al sud che al nord - con un deficit di nati a gennaio 2021 (-13,2%) tra i più ampi mai registrati, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall'epidemia. Il crollo delle nascite tra dicembre 2020 e febbraio 2021, da riferirsi ai mancati concepimenti durante la prima ondata pandemica, secondo l'Istat è sintomo della posticipazione dei piani di genitorialità, in particolare nei primi sette mesi.

Il saldo naturale è negativo in tutte le regioni, tranne nella Provincia autonoma di Bolzano che si caratterizza per una natalità più alta della media (+193 unità). Le regioni che più delle altre vedono peggiorare il tasso naturale sono invece il Molise (da -7,9 per mille a -9,0) e la Calabria (da -3,8 per mille a -5,1). In notevole recupero invece la Lombardia (da -6,6 per mille a -3,9) e la Provincia autonoma di Trento (da -4,6 per mille a-2,2).

Al calo di popolazione, che si è fatto sentire di più nei comuni più grandi, ha contribuito la diminuzione della popolazione straniera (-141.178 rispetto al 2020), con un'incidenza sulla popolazione totale di 8,5 stranieri ogni 100 censiti. Quasi la metà vengono dall'Europa (47,7%), il 22,6% dall'Africa, una percentuale di poco inferiore dall'Asia e il 7,3% dall'America. Si concentrano per di più al nord (59%), mentre il centro Italia ne accoglie il 25%, il sud e le isole, rispettivamente l'11,6% e il 4,6%. Buone notizie sul fronte degli studi. Negli ultimi 10 anni sono diminuiti gli analfabeti, persone cioè che sanno leggere e scrivere ma non hanno concluso un corso regolare di studi e quelle con la licenza di scuola elementare e di scuola media.

Il 36,3% della popolazione ha un diploma (oltre 5 punti percentuali in più rispetto al 2011), i laureati sono il 17,2% al centro, il 15,3% al nord-ovest, il 14,9% al nord-est, il 13,8% nel meridione e il 13% nelle isole.

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