La malasanità ci costa un miliardo

Tanto pagano ogni anno gli ospedali in risarcimenti. Solo con la prevenzione si potrebbe evitare metà dei danni

La malasanità ci costa un miliardo

In caso di malasanità, meglio prevenire i danni o aspettare gli eventi? Sembra una domanda lapalissiana, ma non lo è: troppo spesso, infatti, la prevenzione - intesa sia come riduzione dei rischi evitabili sia come assicurazione contro quelli inevitabili - è trascurata da chi dovrebbe occuparsene, ovvero le Regioni, da cui dipendono le strutture sanitarie pubbliche. Distrazioni di medici o infermieri, errori nella lettura dei referti, scambi di medicinali, sviste in sala operatoria: il campionario della «malpractice», come la chiamano gli esperti, è fin troppo vasto, senza contare i problemi più o meno gravi causati dall'inadeguatezza e dalla disorganizzazione di molte strutture ospedaliere. Mettendo da parte per un momento i danni alla salute - e spesso anche alla vita - dei cittadini, che sono naturalmente il capitolo più doloroso, parliamo soltanto di quelli al portafoglio: i risarcimenti raggiungono ormai cifre da capogiro, a cui bisogna aggiungere i costi giudiziari e quelle per le cure supplementari che si rendono necessarie, a volte anche per lunghi periodi.

E si tratta di tanti soldi: per avere un'idea, la sola Lombardia spende 100 milioni l'anno in risarcimenti, facendo una proporzione sull'intero territorio italiano arriviamo a un miliardo di euro circa. In realtà, di malasanità si parla da almeno vent'anni, ma non c'è ancora una quantificazione del contenzioso a livello nazionale. Anche perché non esiste un modello omogeneo, ogni regione fa a modo suo. Eppure, una valutazione sarebbe il primo passo per risparmiare denaro pubblico, perché consentirebbe un'analisi seria dei rischi, evitabili e non. Non è un'utopia: gli studi condotti sul campo mostrano che oltre il 50% degli eventi avversi sono evitabili utilizzando lo strumento della prevenzione.

Il tema è particolarmente cruciale in questi tempi di spending review , che vedono la sanità più che mai nel mirino: si parla di tagli per tre miliardi. Perché allora non ridurre la spesa per la malasanità, avvantaggiando la salute e il portafoglio dei cittadini? Da qui è nata l'idea del seminario organizzato oggi dall'università Bocconi da quattro colossi del settore assicurativo - Aon, Marsh, Trust Risk Group e Willis - proprio per analizzare l'impatto della malasanità sul bilancio del welfare. E i risultati della ricerca condotta sul territorio nazionale danno da pensare. «Su 21 Regioni interpellate, solo 17 hanno risposto - spiega Luca Franzi, consigliere di amministrazione di Aon - e meno della metà ha fatto un calcolo dei rischi. Il 23% ha deciso per il sistema misto, l'intervento di un assicuratore è richiesto soltanto per gestire i sinistri più gravi, normalmente da 250-500mila euro in su; è il sistema utilizzato in Lombardia, per esempio. Ci sono poi Regioni, come la Toscana, che gestiscono in autoritenzione assicurativa i rischi di responsabilità civile legati alla sanità. In parole povere, si fa a meno dell'assicurazione, considerata un onere sproporzionato al rischio, che si cerca di ridurre il più possibile: se sarà necessario, pensano gli amministratori locali, pagheremo i risarcimenti». Sottinteso: magari toccherà a chi verrà dopo di noi. Una visione miope: tanto più che bisogna considerare anche i rischi non ancora liquidati, di cui cioè sono state presentate le denunce magari dieci anni fa e che pendono come una spada di Damocle sui conti della sanità. E intanto i costi salgono: nel periodo tra il 2004 e il 2012 l'importo medio liquidato per i risarcimenti è stato di 26.220 euro, ma si è arrivati a una punta massima di 5.387.470 euro. «La preoccupazione del bravo amministratore - sottolinea Franzi - deve essere quella di evitare gli errori prevedibili, e qui serve l'analisi dei rischi: per quelli non controllabili, l'assicurazione è l'unica possibilità di stabilire un costo certo, quello del premio, da mettere a bilancio.

L'esperienza del passato non è una guida sicura, perché la giurisprudenza è cambiata e a parità di danno il valore del risarcimento è cresciuto: ad esempio, oggi si riconosce il danno biologico in caso di morte anche agli eredi».

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