La "manina" in Corte di giustizia

Giurista indicata da Gentiloni dietro il verdetto della Cge

La "manina" in Corte di giustizia
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Magari è una coincidenza ma nello stravagante e cruento campo di battaglia tra politica e giustizia le coincidenze in verità sono sempre state poche. Sta di fatto che nella seduta della Corte di giustizia europea del 4 ottobre scorso, quella che ha stabilito le linee guida sui paesi in cui i migranti clandestini possono essere rimpatriati dagli Stati europei era presente come giudice - così assicura la rappresentanza italiana alla CGE dopo aver letto i verbali - Lucia Serena Rossi, un'insigne giurista, nominata in quel ruolo dal governo di Paolo Gentiloni. È stata l'ultima seduta per lei in Lussemburgo visto che due giorni dopo ha terminato il suo mandato e al suo posto è subentrato Massimo Condinanzi nominato dal governo Meloni. Una sorta di canto del cigno visto che quella sentenza presa a riferimento appena 12 giorni dopo (siamo quasi alla telepatia) dalla sezione immigrazione del Tribunale di Roma di cui fa parte anche la presidente di magistratura democratica (la corrente di sinistra delle toghe), Silvia Albano, ha fatto scoppiare in Italia una mezza tempesta e ha riacceso nuovamente lo scontro tra Potere Politico e Giudiziario.

Diciamo subito, a scanso di equivoci, che la Rossi ha un notevole curriculum: è professoressa ordinaria di Diritto dell'Unione Europea all'università di Bologna (la culla del «prodismo» dove Romano Prodi è ancora professore emerito) e ha ricoperto ruoli di visiting professor alla Sorbona e non solo. Che la decisione della Corte di giustizia europea non è stata presa venti giorni fa (quindi poco prima che il governo italiano usasse il centro per i rimpatri in Albania) ma ha avuto qualche mese di incubazione. E ancora che Lucia Serena Rossi si è occupata spesso di legislazione europea e immigrazione per cui alla sentenza del 4 ottobre ha dato il suo contributo. E che naturalmente forse non c'è alcuna affiliazione politica dell'insigne giurista ma sicuramente c'è una comune visione dei problemi e delle tematiche dell'immigrazione con il governo di Paolo Gentiloni, perché altrimenti non sarebbe stata scelta da quell'esecutivo. Visione che è all'opposto del governo Meloni.

Tant'è che quando la CGE ha dettato le sue linee guida sui criteri per il rimpatrio degli immigrati clandestini nei loro paesi d'origine, in quel consesso è mancato proprio il punto di vista dell'attuale governo. La posizione italiana di oggi è stata afona o, addirittura, si è sentito solo il suo «controcanto». Se poi si esaminano - con un minimo di onestà intellettuale - le indicazioni generiche venute dalla Corte di Giustizia europea, che, se applicate alla lettera, non autorizzerebbero il rimpatrio in alcun Paese d'origine e neppure il ritorno di un italiano nel Belpaese visto che anche da noi ci sono stati esempi di tortura (basta pensare al caso Cucchi) e nei soli primi 10 mesi del 2024 sono stati registrati 75 suicidi in carcere, ebbene, sembra proprio che quelle linee guida siano state tagliate su misura per rendere inutile il «centro» aperto dal governo italiano a Gjader in Albania. Se non puoi autorizzare rimpatri a che serve, infatti, un «centro» per i rimpatri? Al massimo a creare i presupposti per cui l'opposizione può addirittura denunciare l'attuale esecutivo alla Corte dei Conti per spreco di denaro pubblico.

Insomma, una sentenza europea emessa in Europa ma ad «uso interno» per l'Italia. Perché mentre qui infuria la battaglia e la Cge emette le sue linee guida il socialdemocratico cancelliere tedesco Olaf Scholz tratta la vendita di 40 Eurofighter ad Erdogan chiedendogli in cambio una mezza deportazione, il rimpatrio di 15mila immigrati in quel paradiso della democrazia che è la Turchia. E questo dopo aver rispedito 24 profughi afghani dai talebani. Tutto ciò mentre l'Europa e le sue Corti tacciono.

Con questi presupposti è evidente che il nostro Paese non sarebbe messo nelle condizioni di rimpatriare neppure i delinquenti. Negli ultimi dieci anni su 186mila ordini di espulsione ne sono stati eseguiti solo 44mila in Italia. Inutile dire che buona parte riguardavano migranti provenienti dall'Egitto e dal Bangladesh cioè i due paesi di origine dei 12 di cui il Tribunale di Roma ha chiesto il ritorno nel Belpaese. Siamo al colmo dei colmi.

Riceviamo e pubblichiamo:

Gentile Direttore,

l’articolo di Minzolini comparso ieri su questo giornale fa intravedere una “manina” italiana (cioè la mia) dietro la sentenza C-406/22 della Corte di Giustizia. Questo articolo purtroppo contiene (almeno) tre inesattezze tendenziose, che ritengo doveroso correggere, anche nell’interesse dei lettori ad essere informati correttamente. Innanzitutto, chiunque legga la sentenza, in cui figurano i nomi di tutti i giudici che l’hanno deliberata, si renderà conto che io non facevo parte di quel collegio, in cui 15 dei 27 giudici siedono a rotazione. Il 4 ottobre semplicemente sono stati letti, in una udienza a cui ho preso parte, i soli dispositivi di una cinquantina di sentenze precedentemente approvate dalle diverse camere della Corte e tutte portanti quella data Le sentenze portano la data della lettura, ma sono deliberate molto prima per poter essere tradotte. Il mio “canto del cigno”, per riprendere l’afflato poetico di Minzolini, sarebbe dunque quello di aver partecipato a tale udienza di lettura. Fra l’altro non so di quali verbali Minzolini sia venuto in possesso tramite la “rappresentanza italiana alla Corte”, perché tale ufficio non esiste proprio.

Inoltre, traspare dall’articolo di Minzolini, l’idea- o forse l’illusione- che non rinnovando, come sarebbe stata la tradizione italiana, il mio mandato alla Corte e sostituendomi con una persona che gode maggiore fiducia del Governo attuale, si sia reso un servizio al nostro Paese, in quanto il giudice sarebbe una sorta di “emissario” al servizio del suo Stato, pronto a sdebitarsi del favore ricevuto, impedendo che la Corte emani sentenze sgradite a detto Stato. Questo è offensivo per la Corte di Giustizia, istituzione indipendente che agisce in collegialità e in cui nessun singolo giudice può imporre alcunché, perché, una volta nominato, diventa giudice di tutta l’Unione europea e se cerca di fare maldestramente lobbismo per il proprio Paese ci pensano gli altri giudici ad impedirglielo. Quello che conta invece, per essere ascoltati, è l’autorevolezza e l’esperienza e io so di avere reso onore al nostro Paese. Il nuovo giudice dovrà dunque ricominciare daccapo a conquistarsi la stima dei colleghi e ovviamente gli faccio i miei auguri in tal senso.

Infine Minzolini dice che la sentenza della Corte di Giustizia ha stabilito le linee guida sui Paesi in cui i migranti possono essere rimpatriati. Qui Minzolini è in buona compagnia, perché mi sembra che questa sentenza in Italia non l’abbia capita proprio nessuno. La sentenza, che riguardava un rimpatrio dalla Repubblica Ceca alla Moldavia, in realtà si limita a ribadire che è competenza degli Stati fissare la lista dei Paesi sicuri, aggiungendo che occorre prendere in considerazione tutto il territorio di tali Paesi senza poter escludere zone specifiche e che la lista deve essere riesaminata periodicamente per accertarsi che quei Paesi continuino ad essere sicuri. Spiace però vedere come questa sentenza della Corte di Giustizia sia diventata pretesto per uno scontro fra poteri che travalica i normali rimedi propri di uno Stato di diritto.

Si tranquillizzi, Minzolini: la mia visione, per quanto irrilevante in questa specifica vicenda, deriva dalla mia competenza e dalla mia indipendenza, non certo da affiliazioni politiche o dal desiderio di compiacere l’una o l’altra parte di questo macabro scontro.

Lucia Serena Rossi

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