Vertice serale tra il ministro Giovanni Tria e il resto del governo. Il responsabile dell'Economia rientrato in fretta dal Lussemburgo lunedì notte con la missione di convincere maggioranza e colleghi ministri a cambiare il Def. Determinato, al punto da ribadire l'intenzione di dimettersi se il governo non rinuncerà alle misure più costose. Se non si taglierà quel 2,4% di deficit che la maggioranza ha imposto.
Tentativo respinto preventivamente dal vicepremier Luigi Di Maio. «Non arretreremo di un centimetro», aveva avvertito il leader M5S poco prima di entrare. Linea parzialmente confermata dal premier Giuseppe Conte al termine del vertice. Le riforme annci saranno dal 2019, la manovra sarà «seria razionale e coraggiosa». Ma poi ha anche annunciato la riduzione del debito pubblico in tre anni.
Le tabelle illustrare da Tria ieri ai colleghi (c'erano i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti e il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi) fotografano uno scenario peggiore rispetto alle previsioni. La nota di aggiornamento al Def, approvata il 27 settembre ma ancora sconosciuta, fissa gli obiettivi di finanza pubblica fino al 2021. L'intenzione del governo è di mantenere un rapporto tra deficit e Pil al 2,4% per tutto il triennio. E già così è una sfida ai mercati e all'Ue.
Ma dalle stime dei tecnici del Tesoro è emerso altro. Tra il costo delle misure volute dalla maggioranza che cresce di anno in anno - facendo lievitare il numeratore del rapporto - e le previsioni di crescita al ribasso - che riducono il denominatore - il deficit è destinato a galoppare. Secondo le indiscrezioni di ieri, 2,6% nel 2020 e 2,8% nel 2021.
Per Di Maio il deficit del 2019 è «un piccolo prestito» che sarà «restituito» grazie alla riduzione delle spese e alla crescita dell'Economia.
Un azzardo per i tecnici del ministeri, che in questi giorni hanno fatto i conti anche con gli effetti, molto limitati, sul Pil della ripresa dei consumi che porterebbero la pensione anticipata e il reddito di cittadinanza. Da questo punto di vista sono preferibili gli investimenti, sui quali non a caso il ministro dell'Economia ha insistito in questi giorni.
Situazione complicata. Ieri è circolata la voce di una lettera della Commissione europea all'Italia. E anche nuove indiscrezioni su possibili dimissioni di Tria. Il premier Conte, per tamponare le voci sul clima tesissimo del vertice, in serata ha twittato una foto dell'incontro con i ministri sorridenti attorno al tavolo. Nel commento il presidente del consiglio ha assicurato che il governo andrà avanti unito sugli «impegni presi». Durante l'incontro si è fatto sentire anche Matteo Salvini. E ha confermato le misure bandiera dei Lega e M5S: «Via la Fornero e meno tasse alle partite Iva, in Europa se ne faranno una ragione».
In realtà delle modifiche non sono affatto escluse. Da quando è stata approvata la Nota di aggiornamento al Def Tria ha più volte annunciato delle clausole di salvaguardia che potrebbe scattare se il deficit dovesse superare la soglia del 2,4%. Quindi anche se, come probabilmente accadrà, già il prossimo anno le previsioni di crescita del Pil si dovessero rivelare troppo ottimistiche. Al posto degli aumenti delle imposte (la più famosa clausola è quella con i rincari Iva dal 2019) ci sarebbero «tagli alle spese». Che poi sono diventati interventi per ridimensionare, fino a quasi farli scomparire, su reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni su quota 100. Che diventerebbero quindi misure temporanee e sperimentali.
In ballo ci sono le reazioni dei mercati. Già con lo spread a 300 come ieri, quindi con rendimenti dei titoli di stato alti, la prospettiva è spesa pubblica extra di sette miliardi per due anni, ha osservato ieri l'esponente di Forza Italia Renato Brunetta.
Tra le ricadute di questa situazione i rischi enormi per le banche italiane, che già sono in cattive acque. Un problema ben presente al governo e anche al ministro delle Politiche europee, Paolo Savona, uno dei pochi a non escludere modifiche alla manovra.
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