Pietro Vierchowod era uno di quelli della chat, un gruppo di amici legati da uno scudetto. Poi con Vialli vinse anche la coppa dei Campioni. Ma stavolta a Torino, maglie bianconere. Lo zar, come lo chiamavano, oggi ha 63 anni, si dice pensionato, e vive la tristezza di un addio.
Vierchowod cos'era Vialli?
«Era un leader, carismatico, ci metteva tutti d'accordo in quello spogliatoio della Sampdoria. E non era facile. C'erano varie anime, ma Luca sapeva gestire tutti noi. Lo amavamo come giocatore e ci faceva star bene come ragazzi».
E non è mai cambiato?
«Mai. Anche alla Juve, dove ci siamo ritrovati, era un campione eppure non aveva perso il bel carattere: era leader, affidabile. Voleva vincere».
A Genova fu scudetto, comprese le bizzarrie per festeggiare...
«Ci eravamo detti ad inizio stagione: dovessimo conquistarlo, ci tingiamo i capelli di biondo o mettiamo l'orecchino. Allora erano i tempi in cui andava di moda. Ovviamente io ho declinato l'idea dei capelli biondi: sarebbe stato difficile».
E così si rafforzò quel gruppo di amici.
«Era proprio un bel gruppo, una squadra. Vialli allegro e sorridente e guai se non giocava: lo avremmo voluto sempre in campo, anche con una gamba sola. Lui era uno di rendimento e faceva gol, un amico in tutti i sensi. Era un capobanda. Quindi meglio con una gamba sola che in tribuna».
Per i gol c'era anche Mancini.
«Certo, ma Vialli ci teneva insieme: era diplomatico. Mancio più vulcanico. Non ricordo un litigio di Luca».
Lei arrivò alla Samp prima di Vialli: come lo accolse?
«Luca arrivò nell'estate '84, ma qualche tempo prima avevamo giocato una partita contro la Cremonese, appunto di Vialli. E lo marcai. Un giorno mi chiama il presidente Mantovani e mi chiede: Pietro com'è Vialli? Rispondo: niente di speciale, fa le rovesciate dalla bandierina. Era un modo di dire, giusto per far intendere che non mi aveva impegnato. E il presidente: bene, sappi che l'ho già preso per la prossima stagione».
Non male come primo approccio.
«Si, anche con Mantovani rimasi a bocca aperta. Luca era esile ma fin dal primo allenamento si vedeva che era bravo, un lottatore, si buttava dentro. E molto veloce. Da allora capimmo che era meglio averlo sempre, perfino con una gamba sola».
Il finale con malattia?
«Facevamo gruppo, abbiamo conservato la chat, ci sentivamo. Ma Luca non parlava mai della malattia, non voleva parlarne. Si rideva e scherzava. Ci siamo visti anche il 28 novembre alla presentazione del docufilm sulla nostra storia alla Samp. Soffriva, si vedeva. Eppure è venuto a Torino e Genova, non ha mollato. Aveva gran forza di volontà».
Con la Samp ha vissuto gioia scudetto e delusione europea. C'è stato mai un Vialli intristito?
«Di Luca si sa quasi tutto. È stato amico e compagno squisito, un compagno da amare perché ha vissuto con allegria il calcio e quello scudetto. Intristito? Certo, la finale di Barcellona è stata deludente solo perché non abbiamo concluso un ciclo incredibile. In fondo c'eravamo arrivati per la prima volta, dopo aver vinto il primo scudetto. Non era poco».
Una fotografia di Vialli davvero felice?
«In due occasioni: la prima quando sollevò la coppa dei Campioni 1996, come capitano della Juve. Fra l'altro l'ultima vinta dalla Juve. Eravamo insieme, ma finalmente si toglieva, questo sì, il rimpianto della finale persa con la Samp».
La seconda foto?
«Quella con
Mancini, l'abbraccio dopo la vittoria dell'Italia all'Europeo. Era strafelice. Una delle più belle foto che io abbia visto: per la gente, per tutti noi la gioia di due amici. Abbiamo davvero gustato il senso dell'amicizia».
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