Dal mare la sicurezza per l’Italia

Investire sulla Marina Militare per garantire prospettive politiche ed economiche al nostro Paese

Dal mare la sicurezza per l’Italia

Il moltiplicarsi della aree di crisi globale e il dilagare di nuove minacce alla sicurezza di molti Paesi stanno facendo crescere anche in Italia l’attenzione per il varo delle nuove linee guida nel settore della Difesa, promesse dal Governo entro il mese di dicembre. Il Libro Bianco della Difesa, al quale sta lavorando da qualche mese il Ministro competente Roberta Pinotti, tuttavia, non ha ancora visto la luce e si corre il rischio che il tutto si impantani nella palude di un dibattito avviato su binari morti. Da evitare, in particolare, che la discussione si limiti al mero esercizio contabile su costi e tagli al bilancio della Difesa vista la malconcia situazione della finanza pubblica. Non solo. La mancanza di chiarezza sull’importanza strategica dell’intero settore potrebbe trasformarsi in un pericoloso e sconveniente scontro tra le Forze Armate, ognuna impegnata a garantirsi maggiori disponibilità a discapito delle altre. L’acceso dibattito sui costi degli F 35 ed il corposo finanziamento dell’operazione Mare Nostrum, sono solo i più recenti esempi di come un’incompleta percezione della rilevanza strategica di mezzi ed interventi militari per il nostro Paese, possa trasformarsi in una nociva e inconcludente caciara massmediatica.

Anche di questo si è parlato nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati durante la presentazione di “War Games”, lo speciale della rivista “Il Nodo di Gordio” dedicato proprio al Libro Bianco della Difesa, grazie alla presenza di esperti di primo piano del settore e di numerosi esponenti delle Forze Armate.

Un evento che il Sen. Sergio Divina, Vicepresidente della Commissione Difesa del Senato, ha definito storico: “La società civile – ha dichiarato Divina durante i lavori – è arrivata prima delle istituzioni preposte ad elaborare un documento strategico per la sicurezza del Paese”.

Tra le considerazioni emerse da più parti, la necessità di definire in modo più approfondito lo scenario di riferimento che, come ben noto, si caratterizza per una sempre più diffusa e frequente instabilità, difficilmente confinabile in precisi ambiti geografici. Un mondo sempre più multipolare, ancora alla ricerca di nuovi equilibri e concepito su alleanze a geometria variabile.

In questo complesso contesto, per esempio, con un po’ di sorpresa, nelle indicazioni sinora fornite dal Ministero della Difesa, non si trova alcun riferimento al “secolo del mare”, all’importanza strategica della Marina Militare per la sicurezza ed il benessere non solo dell’Italia ma anche del più vasto quadro internazionale. Considerazione apparentemente scontata, visto che proprio il mare è la frontiera più esposta dell’Italia e dell’Europa. Cruciale compito sottolineato anche – nel corso dei lavori del convegno romano – dal Viceministro alla Difesa, Gioacchino Alfano, che ha evidenziato come “il ruolo della Marina in tempo di pace si delinea nella attività di difesa del libero uso del mare, del commercio e nella tutela delle linee di comunicazione marittime, così come nel garantire i flussi di materie prime e di risorse energetiche”. Senza considerare che gli Stati Uniti d’America stanno progressivamente abbandonando il Mediterraneo, avendo indirizzato i propri interessi strategici verso l’Estremo Oriente e l’Oceano Pacifico a seguito della nuova dottrina a stelle e strisce del “pivot to Asia”.

Una svolta non di poco conto che rischia di lasciare il nostro Paese quasi da solo ad affrontare sfide e minacce provenienti dal mare, unica frontiera aperta dell’Italia e dell’Europa.

Il Mar Mediterraneo – come scriveva lo storico francese Fernand Braudel – è un “continente liquido” e proprio per questa ragione, nell’era della globalizzazione, è necessario ripensare al concetto di “Mediterraneo allargato”, da leggere come uno spazio geopolitico che supera la mera dimensione marittima. Uno spazio vitale per tutti i Paesi che si affacciano sul “Mare Nostrum”, molti dei quali attraversati da profonde tensioni politiche e sociali se non da vere e proprie crisi belliche. Da qui la necessità di puntare sulla “Naval diplomacy” e su un più stretto coordinamento tra il personale militare e quello diplomatico per potenziare l’efficacia delle proiezioni e relazioni estere del nostro Paese.

Senza contare, infine, il prezioso contributo che potrebbero fornire all’economia e all’occupazione nazionale, lo sviluppo dell’industria e dell’innovazione tecnologia in campo militare.

Pensiamo solo ai settori dell’aerospazio e della cantieristica navale che, da numerosi studi, oltre a qualificarsi come un’indiscussa eccellenza a livello internazionale potrebbero generare un circuito economico virtuoso per tutta la filiera di produzione. Che, in tempi di profonda crisi, male non farebbe.

Daniele Lazzeri
Chairman del think tank “Il Nodo di Gordio”
www.NododiGordio.org

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