Il «sottoMarino» si è ammaccato. Non è più il sindaco di Roma, ma adesso comincia a pagare l'arroganza e le ingiurie di quella stagione e quel suo modo di puntare l'indice verso chi, secondo lui, meritava la fogna e la compagnia dei topi: ossia, gli elettori di destra. Solo che il tempo qualche volta porta giustizia. Ed è quello che è avvenuto. Ignazio Marino si è presentato davanti al giudice di pace del tribunale di Roma. Il verdetto ha un forte valore simbolico e morale: l'ex sindaco deve scusarsi con gli elettori di destra e pagare un risarcimento simbolico. È l'unico modo per raggiungere in extremis il ritiro della querela. Marino ha accettato il compromesso: risparmiare i soldi in cambio della faccia.
Tutto questo accade a distanza di due anni da quando, dal pulpito della Festa dell'Unità, il «sindaco marziano» arringava i suoi concittadini, spostando la mano verso il basso, dritto nella direzione di un tombino. È lì, disse, che devono tornare, «dalle fogne da cui sono venuti». «La smettano proseguiva accendendosi questi eredi del nazifascismo di dare lezioni di rigore e democrazia a noi». E il suo popolo, lì sotto, si spellava le mani.
Destinatari dell'invettiva, neanche a dirlo, erano i «fascisti immaginari». Rei d'aver sostenuto l'ascesa in Campidoglio del suo predecessore. Gianni Alemanno l'aveva querelato senza ottenere granché. Secondo i pm di allora, infatti, il limes della critica politica non era stato superato. In quelle frasi, insomma, non c'era nulla di penalmente rilevante. Nemmeno l'evidente richiamo allo slogan tanto in voga negli Anni di piombo aveva smosso le toghe. Eppure, il significato di quel motivetto se lo ricorda bene chi ha visto amici e familiari vittime della sinistra violenta. Il caso, però, si chiuse lì. Come la carriera del chirurgo genovese, prematuramente stroncata dallo scioglimento del consiglio comunale e dal successivo commissariamento. Eppure aveva promesso di restare al timone dell'Urbe sino al 2023, per poi raccontare come in Blade Runner «cose che voi umani non avete mai visto». Ma l'annunciata fatica letteraria, Un marziano a Roma, ha visto la luce ben prima del previsto. E, dopo aver resistito alla tentazione di una nuova candidatura, sembra esser definitivamente scomparso dai radar della politica. Salvo irrompere, a gamba tesa, quando si tratta di restituire qualche stilettata a quella tal Virginia, seduta all'ultimo banco dell'opposizione ed oggi alla guida della Capitale.
A disturbare il buen retiro dell'ex sindaco, rinfacciandogli quelle «parole denigratorie», sono stati il consigliere regionale di Fratelli d'Italia, Fabrizio Santori, ed il consigliere municipale di Noi con Salvini, Fabio Sabbatani Schiuma. Determinati ad ottenere giustizia, anche loro avevano denunciato l'accaduto in Procura. E così, dopo il rinvio a giudizio disposto dal pm Giulio Berri, l'ex sindaco della Capitale è finito alla sbarra. Per rispondere di quelle offese e del reato di diffamazione. Sprovvisto della carta di credito del Comune di Roma, stavolta, il conto lo ha pagato di tasca sua. E si è scusato.
«Per non gravare ulteriormente la già ingolfata macchina della giustizia fanno sapere le parti abbiamo ritenuto di accettare l'invito del giudice e le rinnovate scuse nell'odierna pubblica udienza, estese questa volta a tutto il mondo della destra». Oltre a farsi carico delle spese legali, su richiesta dell'avvocato Remo Pannain, l'imputato si è visto costretto a staccare un assegno di 200 euro. Una cifra simbolica che, come insegna il più dantesco dei contrappassi, finirà nelle tasche di una famiglia.
Non una qualsiasi. «Adesso annunciano i consiglieri vogliamo devolvere l'assegno a una delle tante famiglie che, in tutta Italia, hanno subito un lutto o un aggressione negli anni Settanta e ora si trovano in difficoltà».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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