Mario e la maledizione di Pioltello. Giuseppe con la fissa della sicurezza

Uno dei macchinisti morti abitava dove ci fu l'incidente ferroviario due anni fa. L'altro formava le future generazioni

Mario e la maledizione di Pioltello. Giuseppe con la fissa della sicurezza

Ospedaletto Lodigiano (Lo) - «Pioltello, ancora Pioltello... Cos'è? Una maledizione!» ripete l'operaio delle ferrovie aggiustandosi la giacca, ma con lo sguardo rigorosamente puntato verso la terra ai bordi dei binari, perché le telecamere sembrano avvoltoi in planata e uno sguardo sbagliato a un operatore potrebbe apparire un invito a farsi intervistare. «Tra i morti si parla di un tale che di cognome fa Dicuonzo. Se è davvero lui, abitava a Pioltello, proprio dove c'è stato l'altro incidente ferroviario nel gennaio di due anni fa. Lo so perché lo vedevo qualche volta a Milano, alla stazione Garibaldi. Era un tipo allegro, un campano sempre di buon umore, guidava i Frecciarossa da un pezzo... Ma perché mi fate parlare al passato che poi magari finisce che non è vero? Perché con voi giornalisti...».

Un clima febbrile e pesante ieri mattina in mezzo ai campi di Ospedaletto Lodigiano, poco meno di una ventina di chilometri dal capoluogo. Le ambulanze, il personale sanitario, molti poliziotti e ferrovieri, hanno già raggiunto gli ospedali di Crema, Codogno, Piacenza e Lodi dove sono stati soccorsi 31 feriti sotto choc ma non gravi, tutti passeggeri a bordo del Frecciarossa partito da Milano Centrale alle 5.10 e deragliato proprio tra queste terre odorose di letame alle 5.35.

Il terribile bilancio temuto nei primissimi attimi dopo l'incidente si alleggerisce quasi subito. A perdere la vita sono stati «solo» i due macchinisti, sbalzati a circa una cinquantina di metri dalla motrice. E a chi si stupisce davanti a tutto quel minimizzare sul numero delle salme, un barelliere fa notare, prammatico ma realista: «Qui si è sfiorata la tragedia, se fosse andata peggio staremmo ancora contando i morti».

Tra mugugni e incertezza il primo a essere trovato è il cadavere di Giuseppe Cicciù, 51 anni, ferroviere e delegato sindacale della Fit Cisl Lombardia, originario di Reggio Calabria ma residente a Cologno Monzese con la seconda moglie e la figlia piccola. Per una mezz'ora resta invece ufficialmente disperso il suo collega più anziano, il 59enne Mario Dicuonzo, ferroviere e macchinista di grande esperienza e professionalità che, nato a Capua, nel Casertano, abitava invece nel Milanese, a Pioltello con la moglie Chiara e il figlio, Federico. Quel che resta del suo corpo senza vita lo troveranno una mezz'ora più tardi.

Dalle Ferrovie si saprà poi che Dicuonzo sarebbe andato in pensione entro la fine di quest'anno e che era tra i «pionieri» appassionati che avevano superato tutte le selezioni per arrivare a guidare in qualità di macchinisti i primissimi Frecciarossa. Amava il proprio lavoro al punto da gestire - insieme ad altri colleghi entusiasti degli allora neonati convogli capaci di raggiungere altissime velocità - la formazione delle nuove generazioni di macchinisti.

Proprio come il collega, Giuseppe Cicciù era arrivato in Lombardia da una trentina d'anni e si era impegnato con il sindacato per migliorare le condizioni di lavoro di tutti. Attivista della Fit Cisl Lombardia viene ricordato come una persona diretta, un ferroviere «molto attento alla sicurezza.

Attaccatissimo alla sua città natale, Reggio Calabria, ci tornava spesso per far visita alla madre. «I Frecciarossa sono stati la sua passione per tutta la vita: non si può morire così» sussurra piangendo un collega sindacalista al telefono.

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