La prima verità giudiziaria sulla gestione della pandemia rischia di essere un calcio in faccia a Giuseppe Conte e ai suoi uomini, su tutti l'ex commissario all'Emergenza Covid Domenico Arcuri, per cui la Procura ha chiesto, nel rito abbreviato, la condanna a 16 mesi per abuso d'ufficio (reato che il Parlamento ha in animo di abolire) nel primo dei tanti processi sugli 800 milioni di mascherine farlocche pagate 1,2 miliardi alla Cina per fronteggiare la pandemia (ignorando l'elenco di altri fornitori affidabili), con commesse milionarie a carico dello Stato. Di processi che coinvolgono esponenti del cerchio magico di Conte ce ne sono almeno altri quattro - da Forlì a Milano - in attesa che la commissione d'inchiesta sulla pandemia si insedi.
Archiviata l'accusa di corruzione, caduto il peculato, davanti al gup romano la procura di Roma ha chiesto anche una decina di rinvii a giudizio per gli imputati che hanno scelto di essere giudicati con il rito ordinario. Secondo i magistrati esperti in reati contro la Pubblica amministrazione Fabrizio Tucci e Gennaro Varone Arcuri e gli altri imputati avrebbero sfruttato «in concorso» relazioni personali e occulte con Arcuri ottenendo che quest'ultimo assicurasse ai partner dell'imprenditore Mario Benotti (indagato per traffico di influenze illecite ma deceduto, ndr) la quasi totale esclusiva, con un evidente vantaggio patrimoniale, nell'intermediazione delle forniture di maschere chirurgiche e dispositivi di protezione individuali, che avrebbe incassato ben 12 milioni di euro «senza assumere alcuna responsabilità - sottolineano i pm - sul risultato della propria azione e sulla validità delle forniture che procurava». Mascherine finite anche in strutture ospedaliere perché sdoganate e declassate a «mascherine di comunità» nonostante il marchio Ce contraffatto, tanto che sarebbero state giudicate anche «di dubitabile idoneità e pericolose per la salute». Cosa che non sarebbe mai dovuta avvenire, tanto che anche le Dogane sono nel mirino della magistratura. Nelle 14 pagine del decreto di sequestro emesso dalla procura di Roma c'è la conferma che quelle mascherine «non soddisfano i requisiti di efficacia protettiva richiesti dalle norme Uni En», presidi sanitari la cui conformità sarebbe stata attestata falsamente. E questo spiegherebbe (in parte) perché la mortalità italiana durante la pandemia è superiore alla media Ue nonostante due lockdown, il green pass e l'obbligo vaccinale. «Le mascherine di comunità non sono mai esistite se non nella testa delle Dogane. Il decreto 18 articolo 16 non ne ha mai parlato», ricorda al Giornale uno degli investigatori.
Secondo Arcuri, che professa la sua piena innocenza attraverso il suo avvocato Grazia Volo, il prezzo dei prodotti offerto da Benotti «era più vantaggioso» e lo stesso ex commissario sarebbe stato «all'oscuro del ricarico» e avrebbe ricevuto molte pressioni sulle mascherine, anche da Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, chiamando in causa direttamente Giorgia Meloni (che però l'ha querelato).
Ma questo non esclude che la maxi fornitura di mascherine cinesi fosse illecita sotto più profili, come l'assenza di un contratto per la mediazione di Vincenzo Tommasi, braccio destro di Benotti, l'ex giornalista Rai che avrebbe sfruttato la sua moral suasion - dimostrata nelle carte dell'inchiesta attraverso le centinaia di contatti telefonici tra i due - per convincere Arcuri e il suo braccio destro del tempo Antonio Fabbrocini, responsabile unico del procedimento per la struttura commissariale, che rischia il processo per frode nelle pubbliche forniture, falso e abuso d'ufficio.
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