Ci mancava soltanto la manovra «maschilista»! D'accordo, Matteo Salvini ha l'aspetto del macho che quando osserva una donna macina numerosi pensieri, e le pari opportunità non sono esattamente in cima alla lista. Luigi Di Maio invece, a giudicare dai repentini cambi di fidanzata, sembra avere un rapporto, come dire, contrastato con il sesso femminile.
Ma, al di là delle personali attitudini dei vicepremier, la «critica di genere» alla manovra ancora non si era vista. C'è «un segnale di maschilismo anche in questa legge di bilancio ha dichiarato il presidente dell'Inps Tito Boeri (nella foto) - nel momento in cui va a dire: manteniamo le differenze di età nell'accesso alle pensioni per uomini e donne, e va a non rifinanziare il congedo di paternità che era uno strumento molto importante per promuovere un'uguaglianza di opportunità».
Ora, anche chi come me si considera una paladina del femminismo libertario e moderno ha qualche difficoltà a vedere nella legge di bilancio in corso di approvazione una ben congegnata operazione contro le donne. Essa ha molti difetti: il primo è che fa male al Paese, agli italiani, indipendentemente dal sesso di nascita.
Due terzi delle misure mirano a interventi assistenziali, redditi e pensioni di cittadinanza, che comporteranno un trasferimento di ricchezza da chi lavora a chi non lavora.
Del resto, lo stesso sottosegretario di Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti ha ammesso candidamente: «È chiaro che l'approccio dei mercati e della Commissione sarebbe stato diverso se avessimo diminuito le tasse invece di aumentare le spese, ma ormai è fatta». Dunque, la questione di genere c'entra poco o nulla. Magra consolazione, ahinoi.
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