La città è imbandierata come una stampa del Risorgimento. Da una torretta all'angolo di piazza XX settembre scende fino a terra un lunghissimo tricolore. C'è voglia di voltare pagina dove tutto era cominciato il 20 febbraio: Annalisa Malara, l'anestesista, che non trova la diagnosi per quella polmonite atipica e poi ha l'intuizione giusta, confermata dal tampone: Covid. Presto sarà premiata. Ma questo è il domani, quel giorno di febbraio è l'incipit del disastro: la zona rossa e i morti.
«La festa della Repubblica oggi si celebra qui», spiega Sergio Mattarella, che arriva alle 11 del mattino, accolto da scrosci di applausi accaldatissimi. Niente bagni di folla, il protocollo della visita è privato, fra municipio e cimitero. La coda dell'emergenza, non ancora finita, blocca gli abbracci e le strette di mano, ma si capisce che la gente c'è. Eccome. «Siamo diventati famosi», sussurra un papà ai figli tenuti per mano. Dignità e lacrime a ciglio asciutto. Nessuna protesta. Niente urla o grida scomposte. Solo Giovanna Boffelli, volontaria della Croce rossa che prende la parola prima del presidente, non ce la fa e cede alla commozione. La voce le muore in gola. «La ringrazio, - la incoraggia Mattarella - qui è presente l'Italia della solidarietà, della civiltà, del coraggio. In una continuità ideale in cui celebriamo ciò che tiene unito il nostro Paese: la sua forza morale».
Insomma, la sofferenza come motore della ripartenza. L'unità come cifra di una nazione scossa da troppe convulsioni. E Codogno come simbolo di un Paese finito nelle fauci del drago arrivato dalla Cina, ma capace di reagire e sprigionare energie positive. «Questo - insiste Mattarella - è tempo di un impegno che non lascia spazio a polemiche e distinzioni. Tutti siamo chiamati a lavorare per il nostro Paese, facendo appieno il nostro dovere, ognuno per la sua parte».
Non è il momento delle fanfare e dei pennacchi. Il capo dello Stato va al cimitero, come è andato qualche ora prima, a Roma, all'Altare della Patria per rendere onore al Milite Ignoto. Il 2 giugno ha una parte muscolare, la grande parata ai Fori imperiali quest'anno cancellata, ma è anche uno specchio laico del 2 novembre. Il lutto e i morti, «i troppi morti della nostra Lombardia», come sottolinea nel suo saluto il governatore Attilio Fontana.
Il sindaco di Codogno Francesco Passerini scolpisce la data del 21 febbraio: «Abbiamo istituito la giornata delle vittime Covid e speriamo che il 21 febbraio diventi una ricorrenza nazionale».
I dieci sindaci della zona rossa scattano le foto ricordo, Mattarella saluta la folla. Altri battimani, il capo dello Stato, all'ombra dei sepolcri, depone una corona di fiori sulla targa che ricorda i caduti di questa guerra sanguinosissima.
Si chiude una fase: oggi cadono le barriere fra le regioni. Mattarella intanto è rientrato nella capitale e chiude il suo lungo pellegrinaggio allo Spallanzani, l'ospedale che è stato uno dei capisaldi della Resistenza al virus e che è illuminato dal Tricolore. Ad accoglierlo c'è il governatore Nicola Zingaretti, ma anche medici e infermieri provenienti da Piacenza, Cremona, Bergamo, città schiacciate dall'epidemia. Proprio come Codogno.
I giardini dello Spallanzani sono la cornice sobria per il tradizionale concerto e per l'esibizione del
tenore Francesco Grollo. Ancora malinconia. Ma senza retorica. Anche se il 2 giugno rischia di essere una parentesi veloce nella solita mischia confusa del Palazzo. Nella stagione non condivisa dei voti di fiducia e dei dpcm.
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