Matteo si sente accerchiato. "Un attacco indegno alla Lega"

Salvini: "Ne inventano tante su di noi, diamo fastidio". Ma l'ala nordista del partito è sempre più filo-Draghi

Matteo si sente accerchiato. "Un attacco indegno alla Lega"

La Bestia è ferita gravemente, ma ancora respira. Salvini non è tipo che si arrende facilmente, è passato in fretta dallo sgomento all'incazzatura fino alla compassione per la caduta dell'amico Luca (Morisi), ma adesso il leader della Lega è «stufo del guardonismo» sulla vicenda, vuole rispondere ai cazzotti presi negli ultimi giorni. È convinto che la tempistica dell'inchiesta (a pochi giorni dal voto) non sia casuale, un copione che ha già visto in scena altre volte: «Sulla Lega sono anni che ne inventano. Attaccatemi sulle mie idee di Italia, i soldi in Russia non ci sono» dice riferendosi ad una delle tante inchieste, quella sui presunti finanziamenti «di Putin». E poi ancora: «È chiaro che la Lega per qualcuno è un ostacolo, a qualcuno dà fastidio, perché siamo quel granello di sabbia che farà saltare l'ingranaggio che gli altri vorrebbero andasse avanti così. Ma non mi sentirete mai parlare di complotto». Però «l'attacco nei confronti della Lega è indegno di un Paese civile», c'è «un trattamento arrogante e supponente», la vicenda di Morisi è un dramma personale, non uno scandalo politico, «spacciare è un crimine dei più odiosi, consumare droga è un crimine contro se stessi», e chi lo fa «va aiutato e curato».

È evidente però che il caso Morisi ha accelerato un processo di «chiarimento» interno alla Lega, che già covava da mesi, con i tentennamenti di Salvini sul green pass, le posizioni no vax di alcuni parlamentari leghisti, e in generale un'ambiguità di fondo nella Lega di «Draghi e di lotta» che Salvini cerca di mantenere. Un pezzo del partito, e non una a caso ma quella dei territori storici leghisti, il Veneto in primis, è ormai draghiana («Draghi è un personaggio eccezionale» ha detto Giorgetti l'altro giorno a Conegliano Veneto per una tappa elettorale). Le ambiguità tra le due linee e gli scivoloni vengono mandati giù fintanto che le cose vanno bene, ma quando come adesso arrivano segnali di arretramento, la Meloni è incollata e si rischia un risultato non esaltante domenica prossima, allora è la volta che i malumori vengono allo scoperto. È quello che ci si aspetta succeda dopo le amministrative. Non proprio una resa dei conti, ma un chiarimento e una discussione sulla rotta (unica) da tenere come partito di governo radicato nel nord produttivo che vuole riaprire le attività in sicurezza (con vaccini e green pass), senza strani tentennamenti. «La Lega è una sola, non due tre o quattro» dice Luca Zaia, che però ammette «il dibattito c'è, un grande partito ha dibattiti al suo interno, ma non è un divario». In Veneto, dice un sondaggio Demos, le personalità politiche più apprezzate sono due: Zaia e Draghi.

Salvini però non ha alcuna intenzione di «tornare indietro», alla Lega come portavoce del nord, e tantomeno a portarla tra i moderati del Ppe: «Sono menate giornalistiche, è un dibattito presente sui giornali ma totalmente inesistente dentro la Lega. Se qualcuno fuori pensa che la Lega debba solo occuparsi di pezzi di Paese io dico no. Non si torna al passato». Quanto alle correnti della Lega, «Le uniche correnti che mi preoccupano sono quelle d'aria».

Anche sul resto Salvini tira dritto e non molla i cavalli di battaglia poco da Lega draghiana, come il martellamento sulla Lamorgese.

Il ministro dell'Interno ha fatto sapere ieri che è disponibile ad un incontro con il leader leghista, «dove e quando? Quando?» risponde Salvini. Sulle amministrative consiglia di guardare quanti sindaci in più avrà, non i voti della lista o al confronto con Fdi. Forse perché potrebbero non essere le elezioni più esaltanti, in fatto di percentuali, per la Lega.

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