Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners Sgr, è raro che tutte le Borse mondiali segnino pesanti ribassi all'unisono visto che non sembrano accaduti eventi straordinari.
«È una tempesta perfetta, di quelle che capitano senza troppi preavvisi. I problemi a monte, però, erano già abbastanza visibili, ma non hanno determinato quegli effetti che, invece, si sono verificati tutti in una volta».
Come si può ricostruire questa débâcle?
«Quando il Giappone praticava una politica ultraespansiva e la nostra era restrittiva, prima i giapponesi e poi gli operatori internazionali - hedge fund in testa - hanno cominciato a usare yen per comprare dollari e con i dollari comprare azioni Usa, incluse le Big Seven (Apple, Microsoft, Nvidia, Alphabet-Google, Amazon, Meta-Facebook e Tesla; ndr), ed europee. Il risultato era molto buono perché la politica di tassi ultrabassi giapponesi indeboliva lo yen e rafforzava il dollaro. Dunque, si guadagnava doppiamente, sia sul debito in yen che si svalutava che sugli attivi in dollari che si rivalutavano».
E ora?
«Adesso tutto questo sta tornando indietro perché, da una parte, con l'aumento dei tassi in Giappone lo yen si rafforza e quindi il debito in yen diventa ogni giorno più oneroso. Dall'altro lato, l'attivo in dollari si svaluta, a partire dai magnifici sette. È una classica situazione di squeeze in cui si perde sul passivo e sull'attivo. I 4mila miliardi di dollari, che sono stati presi a prestito dal Giappone per comprare 4mila miliardi di titoli occidentali, fanno il percorso inverso: si vendono i titoli per restituire i soldi al Giappone. In più il rallentamento dell'economia crea nervosismo per i timori di recessione».
Non sarebbe stato il caso, soprattutto da parte della Fed e della Bce, di essere più tempestivi col taglio dei tassi?
«Il problema è che l'inflazione non è ancora perfettamente a posto. Dopo aver detto per due anni: Vedrete che faremo tornare l'inflazione al 2%, le banche centrali fanno fatica a cambiare discorso. Hanno dichiarato che guarderanno anche la disoccupazione, ma un transatlantico non lo si gira in due giorni. Inoltre non è un meccanismo automatico. Se le banche centrali tagliano i tassi a breve e il mercato in quel momento non è convinto, il mercato non li abbassa, anzi a volte li alza sul lungo termine».
Le Big Tech fino a pochi giorni fa mostravano tassi di crescita notevoli delle quotazioni e dei risultati. Non è che si è creata una sorta di bolla?
«Gli investitori indebitati compravano questi titoli finché il settore cresceva. Ora molti si chiedono se i loro ingenti investimenti in data center, software, infrastrutture per l'intelligenza artificiale siano sostenuti dai ricavi. I tassi di crescita degli utili sono in decelerazione e, d'altra parte, è difficile che una società cresca per sempre del 30% l'anno. È stata una fase eccezionale che adesso tenderà a normalizzarsi. Quindi, c'è anche una maggiore cautela sull'intelligenza artificiale».
L'arretramento di Trump nei sondaggi ha contribuito alla correzione visto che promette tagli delle tasse e svalutazione del dollaro, sempre gradite a Wall Street?
«È un aspetto da considerare, però non ha centralità in questo momento particolare. Certamente, il fatto di non sapere che amministrazione ci sarà non aiuta perché aggiunge altra incertezza».
Risparmiatori e investitori devono spaventarsi?
«Spaventarsi no. L'economia globale va abbastanza bene: la Cina ha difficoltà però cresce, l'Europa cresce anche se poco e per gli Usa si stima un +2,5% di Pil nel terzo trimestre.
Poi, sappiamo storicamente che tutti i crash finiscono e sono occasioni di acquisto, però non sappiamo in anticipo quando questa fase terminerà. Bisogna essere cauti e non farsi ingolosire troppo dalle quotazioni meno care perché a un rimbalzo tecnico spesso segue una seconda correzione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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