La media borghesia ora torna a sperare

La vittoria di Trump è la rivalsa della classe media, la piccola e la media borghesia dell'America storica

La media borghesia ora torna a sperare

La vittoria di Trump è la rivalsa della classe media, la piccola e la media borghesia dell'America storica, che risparmia per farsi la casa e la pensione, ama l'iniziativa personale, vuol contare come piccolo azionista, come contribuente che ha diritto di dire la sua su come si spende a Washington e nella proprio municipalità, non vuole la deindustrializzazione. Crede nella famiglia e nella piccola impresa, che diventerà grande. Si mette la mano sul cuore, quando sente l'inno nazionale. Questa America ha subito negli ultimi decenni e specie nelle epoche di Clinton e di Obama una perdita relativa di benessere rispetto alle classi alte e alle basse, ha subito una riduzione del proprio ruolo economico e dell'influenza dei suoi valori nella società mentre si è accresciuta l'influenza del modello post keynesiano caratterizzato dall'alleanza fra grande capitale finanziario e masse popolari consumiste che lasciano ai manager e alle elite intellettuali l'esercizio dei diritti di proprietà e di iniziativa, una società in cui oramai la finanza prevale sull'economia. Anche una parte crescente dei latinos e dei black si riconosce in quel modello borghese. Ma non ha il coraggio di dirlo ai sondaggisti. A quei borghesi, alla cassiera del supermercato di Springfield, nell'Ohio, l'imprenditore Trump alla Casa Bianca appare un buona idea, in luogo di laureati in legge che dall'università passano direttamente alla politica. Il modello Clinton appare vecchio, come quello di Renzi. Il modello nuovo è quello che pareva superato, in cui contano i valori più dei banchieri: i giovani di sinistra in America hanno come idolo il canuto Sanders, che si batte per la socialdemocrazia, che sembrava roba del passato.

Ora Trump ha il difficile compito di far rivivere questa America della «gente comune», che a Natale fa le foto della famiglia e le manda agli amici con la scritta «Noi stiamo tutti bene e voi?». Se Trump seguirà l'esempio di Reagan, ridurrà la progressività dell'imposta sul reddito, le cui aliquote alte sono pagate soprattutto dalla classe media, perché quella superiore se la cava trasformando i propri redditi in guadagni di capitale su cui è dovuta una bassa imposta proporzionale. Reagan contava sull'effetto positivo sull'offerta produttiva della riduzione della progressività, la Supply side economics. Mentre Trump non appare propenso all'aumento della spesa sanitaria, ha in mente aiuti per situazioni di disagio sociale che i democratici hanno trascurato. Nel complesso gli Usa avranno una politica di bilancio espansionista. Molto dipenderà dalla scelta che Trump farà per i suoi esperti economici e per il ministro per gli affari finanziari.

Molto probabilmente la Camera sarà a maggioranza repubblicana. Se lo sarà anche il Senato, Trump avrà solo il condizionamento del suo partito.

Il neo presidente si è assunto il non semplice compito di stimolare la reindustrializzazione, che comporta politiche a favore delle imprese e delle aree ove c'è stata la chiusura di fabbriche rese non competitive dalla concorrenza di Paesi che, come la Cina, praticano politiche di manipolazione dell'export. Lo spartiacque fra protezionismo e politiche sleali non sempre è chiaro. Una cosa però è chiara: gli Usa continueranno a crescere.

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