Medicine a chi soffre passaggi a chi fugge. Don Oleh "benedice" il Donbass assediato

Il salesiano era in trincea già nel 2014, ora fa la spola con le città nel mirino: "Le cannonate arrivano prima o dopo che passi io, don Bosco ci protegge". A Sieverodonetsk tra i 30mila abitanti che resistono

Medicine a chi soffre passaggi a chi fugge. Don Oleh "benedice" il Donbass assediato

Sieverodonetsk. I due colpi esplodono vicini, ma sul primo momento non riusciamo a capire dove sono piombate le granate russe. Dopo una curva vediamo le colonne di fumo, una grigia e l'altra bianca, che si alzano verso il cielo fra le case di Sieverodonetsk. Un terzo boato ci fa capire che non si scherza. A tavoletta superiamo una distesa di detriti neri e cenere in mezzo alla strada. E sul marciapiedi ci sono i resti di un razzo piombato fra le case. «Non preoccuparti don Bosco ci protegge. Quando passo le cannonate arrivano poco prima o poco dopo. Finora mi è andata bene», sottolinea padre Oleh, salesiano di 40 anni, che parla perfettamente italiano. Un prete coraggio che porta medicine e aiuti in prima linea per poi tirare fuori dalle zone calde i civili dalla parte ucraina del Donbass, dove si attende un possente attacco russo. Il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, teme una battaglia che «ricorderà la Seconda guerra mondiale con migliaia di carri armati, mezzi corazzati e aerei».

Oleh ha vissuto e studiato per otto anni in Italia fra Lombardia e Piemonte. Noviziato a Pinerolo e poi due anni di filosofia, ma adesso insegna storia e fa il direttore del liceo salesiano a Leopoli. «La vocazione? Volevo lavorare con i ragazzi e cambiare il mondo. Per questo mi sono avvicinato ai salesiani», racconta al volante di un furgone con la croce rossa sul parabrezza, che guida come un pilota di Formula 1. Il retro strabocca di medicine e viveri dirette in Donbass. In senso inverso incrociamo un'infinita colonna di macchine stracariche di famiglie e bagagli. Alcune hanno le masserizie sul tetto. La grande fuga verso Ovest in vista dell'offensiva russa.

Felpa militare con il simbolo dell'esercito ucraino, Oleh è un cappellano militare greco cattolico. «Sono stato in prima linea nel Donbass dal 2014, in trincea - racconta - Al primo attacco con le bombe che cadevano da tutte le parti non avevo paura. Uno dei militari mi ha chiesto di mostrargli le mani e tremavano come foglie». Padre Oleh celebrava la messa nei bunker e rincuorava i soldati con la benedizione. «Sapevo che Putin ci avrebbe attaccato, ma non mi credevano soprattutto in Italia», spiega Oleh.

Occhi chiari e croce di don Bosco al collo, non è l'unico prete coraggio. La sua spalla è don Sergio, barbone da profeta, che vive a Liysycansk, a ridosso del fronte, e va in giro per il Donbass a recuperare i civili che chiedono aiuto per l'evacuazione. Sotto di noi Sieverodonetsk, vicino a Lugansk, roccaforte separatista, contava 100mila abitanti, ma adesso sono rimasti in 30mila. «La bombardano ogni giorno», conferma don Sergio aggiustando la croce di legno sul cruscotto come simbolo di protezione. La corsa verso l'ospedale pediatrico è in mezzo a una città fantasma, semideserta e sfregiata dai bombardamenti. Al posto di blocco prima del ponte i militari ci guardano come dei pazzi augurandoci «buona fortuna». Il distributore di benzina all'ingresso della città è incenerito. I pochi abitanti che si avventurano fuori dai rifugi sono ombre che vanno di corsa o cercano di tenersi più al riparo possibile. Sulla strade principali bisogna fare slalom fra i cavi di alimentazione dei filobus penzolanti a causa delle esplosioni. Diverse case sono danneggiate, ma colpisce di più il tombale silenzio interrotto solo dal fragore delle granate che esplodono da qualche parte. L'ospedale è semiabbandonato e circondato da trincee. Dalla sezione pediatrica spuntano delle donne che, come uomini, scaricano i medicinali arrivati dall'Italia. La responsabile ringrazia, ma non ha dubbi: «La prossima volta mandateci elicotteri e carri armati per difenderci dai russi». Anche noi giornalisti diamo una mano a scaricare gli scatoloni con l'effigie di don Bosco pieni di materiale sanitario o acqua.

Una delle stanze con un lettino abbandonato è a cielo aperto per il buco sul tetto di una granata di mortaio che ha sfondato tutto. Dopo aver scaricato le medicine i due preti coraggio vanno a prendere una famiglia di sfollati in fuga con i trolley.

Fra loro c'è Danil, un ragazzino di 16 anni, che non dimenticherà mai il suo compleanno: «Il 24 febbraio, giorno dell'invasione, mi sono svegliato con le bombe e i caccia russi in cielo». Padre Oleh non ha dubbi: «Meglio morire libero che vivere da schiavo, ma temo che Putin pur di vincere è pronto a tutto. Per questo ho paura della terza guerra mondiale».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica