Al terzo piano dell'Art Gallery of Ontario c'è un palco circondato da qualche centinaio di rappresentati della comunità italo-canadese. Con decine di bandiere di Italia e Canada, rigorosamente alternate, che fanno da cornice al duetto «pianola & sassofono» che in sottofondo alterna Stand by me e 'O sole mio. Rhythm and blues e canzone napoletana, una contraddizione che fotografa una giornata complessa. D'altra parte, il duetto è appena stato incaricato dal cerimoniale del governo canadese di prendere tempo. Perché fuori, davanti all'ingresso principale del 317 di Dundas Street, manifestano a favore della Palestina un centinaio di persone. Intonano ritmato «Free Palestine», ma non sono tanti e, soprattutto, per nulla aggressivi. Eppure, lo schieramento delle forze dell'ordine una prima fila a piedi e una seconda a cavallo, tutti con i caschi anti-sommossa è imponente.
Non ci sono scontri, a dire il vero non c'è alcuna tensione percepibile. Ma finisce che Giorgia Meloni e Justin Trudeau disertano l'atteso incontro con la comunità italo-canadese, dove entrambi avrebbero dovuto tenere un discorso pubblico. La decisione è del primo ministro del Canada, comunicata a Meloni mentre attende indicazioni su cosa fare al Fairmont Royal York, lo storico hotel dove soggiorna e dove ha avuto prima il bilaterale e poi il pranzo con Trudeau. Una scelta, quella canadese, forse prudenziale. E che vista la totale assenza di conflittualità tra manifestanti e forze dell'ordine fa fare al governo di Ottawa una pessima figura: quella di non riuscire a garantire a un premier del G7 un'agibilità di movimento in territorio canadese. Questione che ovviamente nessuno a Palazzo Chigi pone formalmente, anche se le perplessità sulla gestione di un incontro a cui si è lavorato per settimane sono piuttosto evidenti, visto che le autorità canadesi hanno imposto il lockdown sulla zona della manifestazione. Così stringente che per quasi un'ora è stato impossibile persino uscire dall'Art Gallery of Ontario anche per chi era già dentro. Finisce tutto verso le 20 ora locale (le due di notte in Italia) con Meloni e la delegazione italiana che lasciano Toronto diretti all'aeroporto per rientrare in Italia.
Una tre giorni nordamericana (prima il bilaterale a Washington con Joe Biden, poi quello a Toronto con Trudeau) di cui restano le scorie italiane, visto che è proprio in Canada che dopo diversi giorni Meloni ha deciso di dire la sua su Sergio Mattarella e gli scontri di Pisa. Ma da cui la premier torna forte di un rapporto sempre più solido con Biden, tanto che ieri il New York Times dedicava un ampio titolo a «l'improbabile alleata», sottolineando lo «spirito sorprendentemente affine» tra i due leader, definendo la premier italiana «influente» e «credibile». Un rapporto, quello tra Roma e Washington, che si è saldato sull'atlantismo in questo ultimo anno e mezzo e che ha forse un po' allontanato Meloni da un Donald Trump con il quale è certamente politicamente più affine (tanto che solo una settimana fa una delegazione di parlamentari di FdI ha partecipato a Washington al Cpac, l'annuale festa dei Conservatori americani inaugurata da Ronald Reagan nel 1974).
Proprio su un dossier chiave come il sostegno all'Ucraina, in effetti, Trump è su posizioni decisamente distanti, tanto che il Congresso qualche settimana fa ha bocciato - seppure di un voto - il pacchetto contenente 60 miliardi di dollari di aiuti a Kiev. Così, durante il punto stampa che a Toronto chiude la trasferta nordamericana della premier, i giornalisti le chiedono se ha avuto occasione di affrontare il tema con i vertici del Partito Repubblicano. «No e non penso che in queste questioni siano utili le ingerenze straniere», risponde diplomaticamente Meloni. Che auspica però «passi avanti», sperando che l'attivismo dell'Europa che «è riuscita a garantire il proprio sostegno all'Ucraina per i prossimi quattro anni» possa essere «un segnale che può aiutare il Congresso americano» a dare il suo via libera.
Alla cautela di Meloni, fa eco da Roma il deciso sostegno a Trump che arriva da Matteo Salvini. Che sui social si congratula con The Donald per i successi alle primarie repubblicane. «Altri tre passi avanti per il cambio alla Casa Bianca.
Da Bruxelles a Washington, cambiamento in arrivo», scrive il vicepremier e leader della Lega. Un'uscita che nello Studio Ovale non devono aver gradito se un funzionario della Casa Bianca ha risposto all'Ansa che chiedeva un commento con un secco «no comment».
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