Sembrava una trattativa in discesa, forse persino troppo. E invece con il passare delle ore il quadro è andato complicandosi. Sia sul fronte del negoziato complessivo, sia sul versante che più direttamente riguarda Giorgia Meloni. La premier italiana, infatti, chiede un portafoglio di peso per il commissario che toccherà all'Italia ed è anche alle prese con i nuovi equilibri dell'eurodestra dopo la netta affermazione del Rassemblement national in Francia.
Così, quando sono ormai le 20.30 e a Bruxelles ha inizio con ben due ore di ritardo la cena dei 27 leader dell'Ue, nella delegazione italiana c'è la convinzione che la riunione informale del Consiglio europeo non riuscirà a trovare una prima intesa sui futuri assetti delle istituzioni comunitarie. In ballo ci sono i cosiddetti top jobs - la presidenza di Commissione, Consiglio e Parlamento Ue e l'incarico di Alto rappresentante per gli Affari esteri - e fino a ieri mattina si ipotizzava che almeno sul bis della popolare Ursula von der Leyen sarebbe potuto arrivare un primo via libera di massima. Impressione non confermata da una giornata fatta di alti e bassi, con un braccio di ferro tra Ppe e S&D sulla candidatura alla presidenza del Consiglio Ue del socialista Antonio Costa. Uno scontro che, in verità, è soprattutto sulla durata del suo mandato. Frenata che, inevitabilmente, ha riflessi sulla corsa di von der Leyen.
Da parte sua, dopo una giornata in cui sia il cancelliere tedesco Olaf Scholz (socialista) che il premier polacco Donald Tusk (popolare) hanno ribadito la conventio ad excludendum verso Ecr, Meloni sembra sempre meno convinta della soluzione Ursula-bis. Una circostanza su cui, probabilmente, pesano altri due fattori: la trattativa in corso per portare a casa un commissario con un portafoglio pesante e la grande agitazione per una possibile riorganizzazione delle famiglie politiche dell'eurodestra.
Così, quando la cena dei leader sta per iniziare, la premier sembra avere pochi dubbi. «Non accettiamo - dice - accordi preconfezionati, se ne riparlerà fra dieci giorni». Un modo per cercare di rimandare tutto al Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. Peraltro, ultimo slot utile per poter chiudere prima dell'estate senza a slittare a settembre. Certo, sul bis di von der Leyen la parola spetta in prima battuta al Ppe e poi a S&D e ai liberali di Renew, gli altri partiti della cosiddetta «maggioranza Ursula». Ma se davvero Meloni si chiamasse fuori, senza il sostegno in Parlamento dei 25 eurodeputati di Fdi (più altri 20 di Ecr che potrebbero aggiungersi nel segreto dell'urna) la corsa al bis diventerebbe rischiosa. Il quorum necessario è 361 e la maggioranza conta 402 seggi. E l'esperienza dell'Eurocamera insegna che un margine di 41 può anche non essere sufficiente ad evitare il fuoco amico dei «franchi tiratori». A meno che la «maggioranza Ursula» non trovi il sostegno dei Verdi, cosa niente affatto scontata e che metterebbe in grande difficoltà un Ppe che in questi ultimi anni si è andato spostando sempre più verso destra.
Meloni lo sa bene. Ed è anche per questo che ieri ha deciso di tirare il freno a mano. Se poi si vuole andare avanti lo stesso - è il ragionamento della premier - si accomodino. Significherebbe portare al voto del Parlamento un candidato che non solo ha numeri stretti, ma arriva pure senza l'unanimità del Consiglio Ue (il nome, infatti, deve avere l'ok preventivo della maggioranza dei Ventisette che rappresenti almeno il 65% della popolazione).
D'altra parte, a Bruxelles Meloni gioca una partita su due fronti. Il primo è quello del bis di von der Leyen, su cui non ha perplessità personali visto che il rapporto tra le due è solido. L'insistenza di S&D e Scholz sull'eventuale sostegno di Fdi, però, non ha fatto piacere alla premier. Anche perché giocata su un evidente equivoco, visto che - nel caso - Fdi sosterrebbe von der Leyen solo nel voto one shot per la presidenza e senza entrare in nessuna maggioranza.
Ma c'è anche un secondo fronte, altrettanto delicato. Ed è quello discusso nei vari incontri che Meloni ha avuto all'hotel Amigo. Prima con l'ex premier polacco Mateusz Morawiecki, uno dei leader di Pis, e poi con il premier ungherese Viktor Orbán, capo di Fidesz. Tutti fortemente ostili a von der Leyen. Si è parlato ovviamente dei nuovi equilibri nelle famiglie dell'eurodestra, con sul tavolo sia l'ipotesi del gruppo unico (che non entusiasma Meloni) che quello di una destra a due fronti (Ecr e Id) o addirittura tre (con Fidesz ancora nei non iscritti). Di certo, c'è che i polacchi del Pis sono molto attratti dal Rassemblement national di Marine Le Pen.
Che se dovesse vincere le legislative del 30 giugno e 7 luglio potrebbe diventare un polo di attrazione della destra europea. E su questo fronte un via libera di Meloni a von der Leyen potrebbe innescare scossoni imprevisti.
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