Due premesse sono d'obbligo. La prima è che la Polonia è il quinto Paese dell'Ue in quanto a numero d'abitanti (dietro a Germania, Francia, Italia e Spagna). E, dunque, avrà un peso non secondario nella definizione degli equilibri del nuovo Parlamento europeo dopo le elezioni di inizio giugno 2024. La seconda è che in Polonia si voterà per le politiche fra poco più di un mese, il 15 ottobre, con una guerra senza esclusioni di colpi tra gli ultraconservatori del Pis di Jaroslaw Kaczynsky e la Coalizione civica dell'ex presidente del Consiglio Ue, Dondald Tusk. Sembra un dettaglio, invece è il cuore della questione. Il Pis (Diritto e giustizia) esprime l'attuale premier polacco, Mateusz Morawiecki, ed è partito fondatore di Ecr, i Conservatori e riformisti europei di cui Giorgia Meloni è presidente dal 2020. Per capirne il peso specifico, basta guardare i numeri: ad oggi, ben 24 dei 63 eurodeputati che nel Parlamento Ue aderiscono al gruppo Ecr sono polacchi del Pis. Mentre la Coalizione civica di Tusk milita nel Ppe, di cui è presidente Manfred Weber. E in Polonia tra Pis e Coalizione civica è guerra aperta, senza esclusione di colpi. Al punto che due giorni fa Morawiecki ha pubblicamente sfidato il tedesco Weber. «Se la Germania ammette apertamente che interferirà nelle elezioni in Polonia», ha detto, è bene che «il signor Weber non usi il suo assistente Tusk» ma «partecipi» in prima persona «al dibattito del 2 ottobre». Politicamente, anche alla luce dello storico dei rapporti tra Berlino e Varsavia, una bomba. Con il Pis - principale azionista di Ecr - che accusa il presidente del Ppe di fare - apertamente e «scorrettamente» - da supporto a Tusk, tanto da invitarlo pubblicamente al confronto elettorale pre-voto in diretta televisiva.
Concluse le premesse, è evidente che la guerra in corso in Polonia - comunque vada a finire - è altamente probabile si trasformi in una gigantesca pietra d'inciampo per il dialogo che Giorgia Meloni sta cercando di intavolare con il Ppe. Un confronto necessario e per certi versi obbligato, perché chi siede a Palazzo Chigi non può non avere un canale aperto con chi fra dieci mesi deciderà i destini della Commissione Ue, che gestisce non solo il Pnrr ma tutti i dossier comunitari. La premier, nessuno lo conferma pubblicamente ma tutti ne sono consapevoli, a giugno non potrà infatti sottrarsi dal votare il prossimo presidente della Commissione Ue. Che sia la riconferma dell'uscente Ursula von der Leyen - con cui Meloni ha ottimi rapporti - o un nuovo candidato del Ppe. È chiaro, infatti, che chi siede a Palazzo Chigi - indicando peraltro uno dei commissari Ue - non può votare in maniera ostile sulla nomina del presidente della Commissione. Non a caso, nel 2019 persino i polacchi del Pis sostennero von der Leyen, spaccando per l'occasione il gruppo Ecr (Fdi votò contro). A giugno 2024 succederà lo stesso, perché Fratelli d'Italia non può non sedersi al tavolo che deciderà i nuovi vertici delle istituzioni comunitarie (Commissione, Consiglio Ue e presidenti e vice del Parlamento europeo).
La speranza di Meloni è che il tutto avvenga con un risultato elettorale che permetta di immaginare a Bruxelles una maggioranza diversa da quella attuale, con il Ppe in asse con Ecr e liberali (su cui però peserà l'incognita della tenuta in Francia di Emmanuel Macron). «Lavoriamo per rafforzare i Conservatori e costruire un centrodestra europeo sul modello Meloni», ha più volte detto Carlo Fidanza, capo delegazione Fdi-Ecr al Parlamento europeo. Una prospettiva in verità altamente improbabile e minata anche dallo scontro frontale tra Popolari e Conservatori che si sta consumando in questi giorni in Polonia. Comunque vada, infatti, per Meloni (che, a differenza di Vox in Spagna, sul voto polacco non metterà pubblicamente la faccia) sarà un problema. Stando ai sondaggi, lo scenario più plausibile è che il Pis ottenga la maggioranza relativa e per dar vita a un governo debba poi fare un accordo con gli ultra-conservatori radicali di Konfederacja. Il che sposterebbe il Pis di Kaczynsky ancora più a destra e, dunque, sempre meno digeribile per qualsiasi dialogo con il Ppe. Se invece fosse Tusk ad avere i numeri per dar vita ad un esecutivo insieme a tutta la sinistra polacca, sarebbe ancora peggio. Perché da una posizione così forte, il veto di Varsavia a un dialogo tra Ppe e Ecr sarebbe quasi impossibile da superare.
Insomma, ad oggi - e va detto che mancano dieci mesi, che politicamente sono un'era geologica - la via più plausibile dopo il voto di giugno 2024 è quella di un'altra maggioranza sull'asse Popolari e Socialisti (che, dicono tutti i sondaggi, sarà comunque il secondo gruppo parlamentare in Ue). Uno scenario nel quale due dei tre partiti di maggioranza in Italia non potranno che votare a favore del successore di von der Leyen. Forza Italia senza esitazioni e Fratelli d'Italia spiegando che appoggia un presidente della Commissione Ue sostenuto anche dai Socialisti per ragioni di realpolitik. Resta la Lega di Matteo Salvini. Che dovrà decidere se fare come il Pis nel 2019 oppure astenersi (che il partito che esprime il vicepremier di un Paese chiave come l'Italia voti contro è altamente improbabile).
Ma su questo pesa l'incognita di dove andrà la Lega dopo le prossime europee e se ancora sarà dentro Identità e democrazia, il gruppo in cui oggi condivide i destini con il Rassemblement National di Marine Le Pen e l'ultra destra tedesca di Alternative für Deutschland.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.