Si chiude l'ultimo Consiglio europeo prima delle elezioni che l'8 e 9 giugno ridisegneranno gli equilibri ai vertici delle istituzioni comunitarie. Un summit sul quale aleggiano i timori di un'escalation del conflitto tra Russia e Ucraina, anche alla luce della pioggia di missili caduta su Zaporizhzhia e sulla diga sul Dnipro e poi dell'attentato a Mosca. Una riunione nella quale si decide poco, perché i dossier centrali - come lo strumento da utilizzare per finanziare le spese per la difesa - vengono rimandati alla Commissione che verrà. L'unico fronte su cui si arriva a una decisione operativa sono i dazi sul grano proveniente da Russia e Bielorussa. Mentre c'è l'impegno, sancito nelle conclusioni del vertice, a tendere una mano al settore agricolo europeo, da mesi in grande subbuglio. Circostanza, questa, che Palazzo Chigi accoglie con «grande soddisfazione» perché è «stata seguita la linea italiana».
Resta sullo sfondo, ma è il grande non detto di questo eurosummit, la partita della successione a Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue. Questione che, assicurano fonti italiane, non viene toccata nei venti minuti di faccia a faccia tra Giorgia Meloni e il presidente francese Emmanuel Macron. Al centro del colloquio, i principali temi dell'agenda internazionale a partire dall'Ucraina e dai fondi per finanziare il nuovo programma di difesa europea. Sul tavolo anche il dossier migranti, con una «particolare convergenza» sulla dimensione esterna e il proposito di «continuare sulla strada dei partenariati rafforzati».
Di von der Leyen, però, parlano sia Meloni che Macron a favore di telecamere. La prima per dire, con grande cautela, che «il dibattito sul bis» di Ursula «appassiona voi e non me». «Ci sono dei candidati, gli europei voteranno e dopo si vedranno i pesi e si capirà cosa si può fare», aggiunge. Insomma, il punto non è «chi» ma «per fare cosa». «Von der Leyen o chiunque altro qual è l'Europa che vuole realizzare?», conclude una Meloni inevitabilmente prudente. Con l'attuale presidente della Commissione, infatti, i rapporti sono ottimi ed è scontato che la premier italiana sia pronta a sostenerla. Ma dirlo pubblicamente oggi significherebbe non solo bruciarla, ma anche complicare i rapporti all'interno di Ecr, il partito di cui la leader di Fdi è presidente. Dentro i Conservatori, infatti, Ursula e il suo Ppe non hanno grandi sostenitori e questa volta - a differenza del 2019 - i polacchi del Pis non sono più al governo del loro Paese e saranno quindi liberi di votare contro. Esattamente come fece Meloni cinque anni fa e come non potrà fare questa volta, perché un partito che esprime il presidente del Consiglio difficilmente può non sedersi al tavolo dove si decide chi guiderà l'Europa per il prossimo quinquennio.
Ben diverso l'approccio di Macron. Che ieri non ha solo cannoneggiato Ursula, ma ha pure tratteggiato in maniera piuttosto definita il suo possibile successore. «Ho sempre fatto parte di coloro che hanno dubbi sugli spitzenkandidaten - dice il presidente francese, usando esattamente lo stesso argomento con cui cinque anni fa aveva stoppato la corsa di Manfred Weber - perché è una figura che iper-politicizza il ruolo di presidente della Commissione, che istituzionalmente non è emanazione del Parlamento». Invece, aggiunge Macron, il capo di Palazzo Berlaymont deve «tutelare l'interesse generale» e «elevarsi sopra i partiti e sopra i Paesi». Una doppia descrizione - quello che non deve essere un candidato e quello che invece sarebbe bene fosse - che sembra portare a un profilo ben definito: quello di Mario Draghi. Che l'inquilino dell'Eliseo spinga per l'ex governatore della Bce, d'altra parte, non è un mistero. E il quadro complessivo di un Europa in affanno e alle prese con una guerra quasi in casa e un'altra a un migliaio di chilometri dai suoi confini potrebbe favorire la sua corsa. A quel punto - dando per scontato che anche il prossimo presidente della Commissione sarà espressione di Ppe-S&D e Renew - von der Leyen potrebbe andare alla guida del Consiglio Ue, mentre un esponente dei Socialisti al vertice del Parlamento.
A Bruxelles si parla anche dei venti di guerra che soffiano sull'Europa. Nelle ultime settimane, von der Leyen e Charles Michel si sono espressi con parole molto allarmate. Circostanza di cui si è lamentato il premier spagnolo Pedro Sánchez, convinto che sia sbagliato creare preoccupazione nell'opinione pubblica.
Meloni - che parla prima dei fatti di Mosca - è cauta, spiega che «nessuno affronta le questioni con leggerezza» ma dice di «non aver percepito in Consiglio un clima di guerra». Infine, prende le distanze dal premier ungherese Viktor Orban. «Non condivido», dice, la «lettera di auguri» che ha madato a Vladimir Putin per la sua rielezione.
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